Spring Breakers di Harmony Korine

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Questa sera, Spring Breakers in onda su Rai 4 alle ore 23:10. Diretto da Harmony Korine (nota figura del cinema indipendente statunitense), vede, un altrettanto noto, James Franco tra i principali interpreti. Federico Gironi scrisse riguardo allo sguardo di Korine e al mondo che mette in scena. Qui sotto l'articolo apparso su Cineforum518 (acquistabile qui)


Il mondo come lo conosciamo è finito a gambe all’aria. È, letteralmente, sottosopra. Non è solo il declino dell’Impero Americano, ma, per dirla con i Baustelle, quello dell’Impero Culturale Occidentale; del quale, volenti o nolenti, siam tutti figli. Allora, cosa fa di fronte a tutto questo, di fronte al ribaltamento di modelli, immaginari, estetiche e valori uno come Harmony Korine? Uno che è sempre stato il cantore degli sghembi, dei non allineati, delle copie non conformi, di tutto quello e di tutti quelli che risiedevano ai margini dell’Impero, nei suoi angoli bui, che prosperavano nelle sue pieghe? Non si mette di certo a gridar vittoria, ché di vittoria non ce n’è più per nessuno. Né si mette a fare il Denys Arcand al negativo, elogiando un disgregamento che annichilisce e annienta, e non certo per le pelose ed elitaristiche questioni raccontate dal collega canadese. Semplicemente, dopo un istante di smarrimento, sorpassa nuovamente a destra il reale, vi si affianca, adegua il passo e, con occhio da un lato sgomento dall’altro sapientemente smaliziato, racconta e documenta. Ci costringe, come sempre ha fatto, a guardare quel che non vorremmo mai vedere, a prendere atto e ammettere quel che desideriamo ignorare e negare. 

Di tutti i freak raccontati finora da Harmony Korine, quelli che popolano le inquadrature di Spring Breakers sono i più orrendi e i più inquietanti: perché sono i nostri amici, i nostri figli, i nostri colleghi. Sono il mondo che vediamo dalla finestra e alla televisione, per strada e sui giornali, al lavoro e in vacanza. Sono coloro che, con inesorabile rapidità, hanno impresso a fuoco il loro marchio nell’immaginario collettivo e nei sistemi culturali ed economici. E Korine li racconta con le loro parole, con i loro modi, con i loro costumi, adottando per la prima volta un’estetica ultrapatinata e al neon, entrando in quel mondo senza mai farsene abbindolare, o assorbire. 

Il mondo di Spring Breakers, il nostro mondo, quello che è a un passo dal diventare modello egemonico, è tanto caotico e rutilante quanto vuoto e desolante. È un mondo dove le parole non sono più importanti, ma solo veicoli vuoti di senso e significato utili a riempire la scomodità del silenzio, da ripetere come mantra da biscotti della fortuna a interlocutori invisibili, muti, assenti. Inesistenti. Un mondo dove quel che conta è l’accumulo e l’ostentazione vana del possesso (lontana dal senso dello stesso «che fu pre-alessandrino» di cui cantava Battiato), mentre il sesso è bandito da corpi ridotti a Barbie e Ken deambulanti, rappresentato solo in versione soft core e sublimato attraverso l’unica fellatio possibile, quella a una pistola che supplisce a un membro devitalizzato dalla sovrabbondanza dei suoi simboli esteriori. Un mondo duro, dove vige la legge spietata del più forte, laddove la forza è direttamente proporzionale alla mancanza di scrupoli, di vergogna, di morale. 

Quello di Spring Breakers, agghiacciante e doloroso, è il mondo dell’eterna immaturità e della perpetua adolescenza. Per questo Korine ha modo di mettere in campo, anche questa volta, tutta la sua empatia, e di condensare in una scena che travalica ogni concetto di gusto o ironia il senso profondo, interiore dell’adolescenza. Perché l’adolescenza, oggi come ieri, è una canzone melensa cantata davanti a un tramonto sul mare, con i My Little Pony stampati sui passamontagna rosa, i bikini succinti addosso e le armi cariche in pugno. E per quest’adolescenza, per le contraddizioni e le tensioni che si porta addosso, Korine prova tenerezza e comprensione. Per il suo eterno prolungamento, per il suo viaggiare sprezzante, consapevole e solitario verso l’orizzonte rovesciato del domani, invece, prova solo quasi orrore