The Grandmaster di Wong Kar-Wai

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Questa sera su Rai 4 alle ore 23:00 andrà in ondà The Grandmaster. Ultimo lavoro di Wong Kar-wai (uscito nel 2013), questo film ripercorre alcuni momenti della vita di Yip Man (celebre maestro d'arti marziali). Dario Tomasi scrisse una recensione sul numero 529 di Cineforum (acquistabile qui), ne riportiamo alcuni estratti.


Sul piano dell’organizzazione visiva, delle modalità di messinscena e delle strategie narrative, The Grandmaster esibisce, senza per così dire quasi mai “strafare”, le caratteristiche soluzioni dell’estetica di Wong Kar-wai. Le immagini appaiono spesso assai “mediate”, attraverso una frequente presenza, secondo i casi, di velature (come per le riprese dietro tende che lasciano trasparire ciò che è di là da esse), di sfocature (Er Gong che fuma l’oppio), di riquadrature (la moglie che si stringe fra le braccia di Ip Man durante i bombardamenti giapponesi), di riflessi (il risciò del maestro Gong che si allontana visto attraverso una pozzanghera), di ombre (quelle del cancello nel com- battimento iniziale) e di sdoppiamenti (il volto di Ip Man mentre si allena al muk yan jong, il manichino di legno). 

[…] Come sempre accade nei suoi film, Wong Kar-wai ricorre anche a numerose alterazioni della velocità di scorrimento delle immagini, non solo in occasione delle scene di combattimento punteggiate da diversi rallentamenti, e ai suoi cari effetti – anche se qui presenti in modo molto parco – di “passo differenziato”, in cui in una stessa inquadratura le figure umane si muovono a diverse velocità, naturale quella degli uni e alterata quella degli altri (come accade per Ip Man, che ha appena espresso la sua volontà di non collaborare con i giapponesi, e gli indifferenti avventori del ristorante in cui l’uomo si trova). Il carattere “mediato” delle immagini di Wong Kar-wai è anche testimoniato dal modo in cui a volte mette in scena i suoi personaggi, avviandone l’enunciazione filmica non attraverso il loro volto – la cosiddetta “immagine propria” – bensì mostrando prima qualcosa che si trova vicino a essi o un’altra parte del loro corpo (come accade, durante la loro inaugurale messa in quadro, per i personaggi della moglie e di Er Gong, di cui prima del volto vediamo, in un caso, la mano, e nell’altro, i piedi calzati). 

[…] Anche sul piano narrativo, The Grandmaster ripropone alcuni elementi costitutivi dell’opera complessiva del regista. Si vedano, ad esempio, l’uso della voce narrante che fra le altre cose si assume il compito di esplicitare, insieme ai sentimenti del protagonista, il destino dei diversi personaggi; l’ampio ricorso a ellissi che omettono diversi importanti momenti di passaggio della storia (niente ad esempio prepara l’incontro a Hong Kong fra Ip Man ed Er Gong) e creano così più di una voluta ambiguità; il ricorso a un certo numero di flashback e immagini soggettive; e una scansione della storia divisa in modo abbastanza netto in tre parti che precedono, accompagnano e seguono gli anni dell’invasione giapponese. 

[…] Rispetto alla tradizione dei film d’arti marziali di Hong Kong, The Grandmaster ne segue alcuni precetti di base, su tutti quello della centralità e frequenza delle scene di combattimento. Con l’ausilio del regista e coreografo Yuen Woo-ping, quello di Matrix e Kill Bill, Wong Kar-wai costruisce una serie di scene di combattimento in cui una certa stilizzazione estetica ha la meglio sulla rappresentazione brutale e violenta cui molti film di kung fu tradizionali ci avevano abituato (diciamo che siamo più dalle parti, come era del resto prevedibile, di King Hu che da quelle di Chang Cheh, e in questo senso vicini ai wu xia pian di Ang Lee e Zhang Yimou). 

[…] Venendo, per concludere, alla vicenda sentimentale, essa si configura, come già abbiamo anticipato, nella forma cara a Wong Kar-wai dell’“amore mancato” (già molto evidente in, tra gli altri, Ashes of Time e In the Mood for Love). The Grandmaster dà, infatti, corpo a un triangolo sentimentale in cui un uomo è “diviso” (le virgolette sono d’obbligo, perché Ip Man di fatto è ben lontano dal cedere alla “tentazione”) tra la moglie e la possibile amante, Er Gong. Il legame fra il protagonista e la consorte è esplicitamente solido, pieno d’amore e di armonia (come bene testimonia la scena in cui il marito lava i piedi alla moglie mentre questa gli annuncia la sua decisione di allontanarsi per un po’ di tempo con i figli, per non essergli così d’ostacolo al difficile compito che lo aspetta). Quello con Er Gong è, al contrario, un rapporto che gioca sull’implicito, sul non detto, sull’allusione. Una relazione che vive soprattutto di un’immagine (quella dei due volti che si sfiorano nel corso di un combattimento, destinata a tornare più volte in forma di analessi), di uno scambio epistolare (che ricorda non poco quello di Jules e Jim), e di una serie di non lunghe ma intense conversazioni.[…]