Concorso internazionale

Zeros and Ones di Abel Ferrara

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Abel Ferrara in Zeros and Ones si conferma un regista scomodo. In tutti gli altri film del Concorso Internazionale ci vengono raccontate delle storie e fatte vedere delle immagini come se, in quest’ultimo anno e mezzo, non fosse successo niente. Ferrara invece ci porta dentro un mondo apocalittico dove i personaggi del film indossano perlopiù le mascherine e si disinfettano continuamente le mani con il gel. Gesti che ci sono diventati tristemente familiari. E quando sono senza mascherine, di fronte alla reticenza e alla circospezione, la frase ricorrente è: «tranquillo, siamo tutti negativi». A questo si aggiunga che il film è praticamente girato quasi tutto di notte, con una fotografia così buia che si fatica a decifrare gli spazi e i volti. E poi c’è un sound design dai toni martellanti e ricorrenti come i battiti di un cuore impazzito che non smette mai. Il risultato è un film angoscioso che ci ricorda il nostro presente e che ci racconta un mondo ancora più deteriorato, a confronto con la vita di prima che si vede per pochi istanti nelle ultime inquadrature del film. La vita dove la gente si parlava e si sorrideva, dove le strade erano piene e trafficate e non deserte, come durante i vari lockdown.

Zeros and Ones è un film da cui vorresti scappare come quando, nel dopoguerra, nessun italiano voleva andare a vedere i film neorealisti, ma sceglieva i musical americani o le commedie. Il protagonista, Ethan Hawke, è un soldato americano a Roma che partecipa a una missione non ben precisata tra il Vaticano, i russi e le prostitute cinesi. Ferrara sembra tornare alle sue origini, quando in Il cattivo tenente mescolava religione, sesso e senso di colpa. Ma questo soldato è dipendente dagli schermi, cellulari, computer, telecamere, e più che sparare ha il compito di filmare, come il soldato Joker di Full Metal Jacket, ma senza l’ironia del Kubrick più maturo. È una discesa negli abissi, la sua, intervallata da esplosioni virtuali della Basilica di San Pietro, simbolo per eccellenza del cattolicesimo e fughe precipitose da nemici non ben precisati.

Ethan Hawke interpreta due ruoli, il soldato e suo fratello, un ribelle che appartiene alla Resistenza. Lui e il suo nemico hanno così lo stesso volto, e la rappresentazione della guerra diventa una metafora del momento presente. Nella sua opera prima Paura e desiderio (1953), il già citato Kubrick, per raccontare la disumanizzazione dell’essere umano davanti alle logiche del potere utilizzava gli stessi attori per interpretare i soldati e i nemici, a significare che chi ci fa più paura è quanto di più vicino a noi, se non il proprio fratello o addirittura noi stessi. Non si salva niente e nessuno, in questo nostro mondo, non più libero, la paura sta prendendo il sopravvento sul desiderio.