Piazza Grande

Vous n’aurez pas ma haine di Kilian Riedhof

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Era il 13 novembre del 2015 quando a Parigi dei commando jihadisti causarono con i loro attacchi 130 morti e oltre 400 feriti, la maggior parte dei quali caduti nella sala da concerto del Bataclan dove era in svolgimento il concerto del gruppo rock degli Eagles of  Death Metal. A distanza di quasi sette anni, il film del regista tedesco Kilian Riedhof cerca di tornare su quegli avvenimenti senza ricercare spiegazioni o risposte, ma si sofferma sui danni collaterali dell’evento, nello specifico sulla tragedia personale di Antoine Leris. Una persona come tante che quella notte perse la giovane moglie, nonché madre del suo figlioletto Melvil di pochi mesi. Antoine, poche ore dopo l’attentato, postò nella sua pagina Facebook un intenso messaggio, con cui dichiarava che nonostante il suo enorme dolore non avrebbe mai dedicato il suo odio agli assassini di sua moglie. Una dichiarazione in poche ore diventata virale e che divenne un potente capitolo mediatico in quelle terribili giornate. Il film prova a raccontare il dolore e la difficoltà di tener fede a quei pensieri, usciti di getto dopo aver avuto la conferma della morte di sua moglie. Difficoltà vissute anche all’interno del nucleo familiare con contrasti sulla sua visione di quel dramma, nonché sulle modalità spicciole, come l’organizzazione dei funerali. In realtà, il vero contrafforte per quel dolore senza fine non lo si ritrova tanto in una concezione alta del perdonare, o nella solidarietà familiare e del mondo circostante. Esso si ritrova in una piccola creatura che chiede a suo padre le giuste attenzioni e di ricalibrare la sua vita su nuovi equilibri. E il piccolo attore che impersona Melvil è la vera star di questo film, che con la sua semplicità e senza fronzoli, si prende spesso tutta la scena e le attenzioni che merita.

Il film è diretto da un regista che ha alle spalle una solida carriera nei seriali televisivi e nello stile ricorda molto quello di un tv movie, ma non rinuncia a dei tocchi originali di regia. Per esempio il costruire l’ultimo giorno tra i due coniugi come uno sfioramento continuo, dettato dalle tante incombenze familiari e non come un giorno speciale. Oppure quando Antoine, ancora in stato catatonico, nel preparare il frullato per il figlio si dimentica di mettere il coperchio al frullatore, metafora della mancanza di un coperchio assai più grande nelle loro vite. Infine, le ultime due immagini che Antoine ha della moglie: dall’alto quando le getta le chiavi dell’auto che aveva dimenticato in casa e nella camera mortuaria, separato dal cadavere di lei da una parete di vetro, due immagini di un contatto fisico negato.