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People Power Bombshell: The Diary of Vietnam Rose di John Torres

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People Power Bombshell: The Diary of Vietnam Rose è un lavoro fondato sull’accostamento, sulla riappropriazione e soprattutto sull’inconciliabilità tra l’identità granitica del passato e la fluidità continua del presente.

Il regista John Torres riprende un vecchio film del maestro della sexploitation filippina degli anni ’80, Celso Castillo, intitolato The Diary of Vietnam Rose: girato nello stesso periodo e nello stesso luogo del ben più famoso Platoon di Stone, della pellicola di Castillo, mai terminata a causa di gravi difficoltà finanziarie, sono state conservate alcune bobine in 35mm dalla sexystar Liz Alindogan, protagonista del lungometraggio.

Torres ha quindi provveduto a riesumare il vecchio lavoro del cineasta filippino montandolo insieme ad altro materiale girato ex novo sull’isola delle riprese, e, usando le dichiarazioni degli attori di allora come se fossero battute di dialogo, ha deciso di terminare un film rimasto incompiuto.

Il risultato è un prodotto ibrido, alienante, che sfugge a ogni tentativo di assoggettamento visivo: la pellicola è corrotta, astratta, imperfetta, consunta, i colori sono ormai svaniti e i dialoghi sono perlopiù disturbati e impercettibili. A emergere è un’immagine drogata e un cinema a-spaziale, in cui la ripetizione immaginifica del passato non è riconducibile, banalmente, a un processo di simulazione giacché tende continuamente ad altro, all’intersecazione tra percorsi, tempi ed esperienze.

Questo confine meta-cinematografico, espresso dalla volontà di ri-doppiare il film inserendo battute estranee al copione originale e dall’ambivalenza metaforica basata sulle contrapposizioni vita/morte, realtà/finzione, passato/presente, ha come conseguenza quello di relegare l’immagine a un altro luogo, di eccedere se stessa rifiutando, dunque, ogni possibile sintesi. Prendendo le distanze da ogni forma di didascalismo politico e filosofico, Torres utilizza il montaggio nella maniera più ingenua (e profonda) possibile: il prodotto finale non è ottenuto tramite l’accostamento sequenziale delle immagini, ma è stabilito dalla differenza introdotta dallo sguardo, dall’indietreggiamento di un gesto visivo che si frappone silenziosamente tra le pieghe dei fotogrammi.

Ispirandosi alla ricca tradizione dei film d’archivio, corrente del cinema sperimentale rielaborata di recente dal folgorante Balikbayan #1 Memories of Overdevelopment Redux III e in parte da Dawson City: Frozen Time, Torres unisce l’assemblaggio pseudo-narrativo di frammenti filmici provenienti da un repertorio dimenticato alla volontà manipolatoria contemporanea, arrivando a produrre, per usare le parole di Carlo Ragghianti, una sorta di ideale critofilm post-moderno.

È nel concetto di differenza, quindi, che risiede il carattere intimamente vitale di People Power Bombshell: The Diary of Vietnam Rose poiché rintracciare la flebile logica di senso che soggiace al caos eterogeneo, sovrabbondante e inconfessabile del lavoro di Torres significa avvicinarsi alla distanza temporale, sociale e culturale che separa People Power Bombshell (l’aggiunta di Torres) a The Diary of Vietnam Rose (l’originale di Castillo).

In definitiva, l’ultimo film del cineasta filippino è l’ennesima (e riuscita) espressione di una cinematografia che confrontandosi con l’oblio del passato, smarrisce le proprie rassicuranti geometrie, dando vita ad un alternarsi di spazi liminari che richiamano sempre territori inesplorati e selvaggi.