Fuori concorso

Mi obra maestra

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Due anni fa avevano sorpreso con Il cittadino illustre. Oggi ritornano con un nuovo film con una formazione solo leggermente mutata: Andrés Duprat figura sempre come sceneggiatore, mentre la regia è stavolta del solo Gastón Duprat, con Mariano Cohn accreditato invece come produttore. Al di là dei ruoli ufficiali attribuiti nei titoli di testa, il film, non diversamente dai precedenti, è sempre un’opera collettiva del terzetto. E infatti prosegue la riflessione intorno ai temi intorno ai quali ruota tutta la loro filmografia.

Salta subito all’occhio il legame diretto con El artista, il primo loro film a essere distribuito in Italia. In quel caso un infermiere diventava una celebrità del mondo dell’arte grazie ai disegni di un internato in un ospizio affetto da demenza. Qui c’è un pittore che, dopo un periodo di gloria negli anni Ottanta, è ormai caduto nell’oblio: il film segue gli sforzi del suo gallerista (oltre che suo unico amico) per ridare valore ai suoi quadri. La morte e altri eventi (in parte provocati intenzionalmente, in parte imprevisti) ne faranno lievitare le quotazioni. Al centro di entrambi i film sono dunque i meccanismi di creazione del valore – economico e non solo – dell’opera d’arte.

Molto più che in passato, Cohn e i due Duprat questa volta imboccano apertamente la via della commedia farsesca con esiti che – immaginiamo – deluderanno qualche ammiratore del Cittadino illustre. In realtà, sebbene non raggiunga la finezza di quel film, anche Mi obra maestra non va sottovalutato. I tre autori sono maestri dell’understatement, abili nel dissimulare, sotto un’aria disimpegnata e leggera, una visione delle cose non banale.

Anzitutto, è vero che i personaggi sono caricaturali, ma la deformazione non diventa mai sguaiata ed eccessiva. Conserva, al contrario, una notevole precisione di tratto, che deriva sia da una scrittura fondata sulla profonda conoscenza degli ambienti descritti (lo sceneggiatore, che ha una lunga frequentazione col mondo dell’arte, nel suo paese e in Europa, lo scorso anno fu il curatore del padiglione argentino della Biennale Arte), sia da una direzione degli attori che conferma le qualità ammirate nell’opera precedente (in conferenza stampa, i due protagonisti – Guillermo Francella, star della commedia argentina, e Luis Brandoni, interprete più defilato – sottolineano la particolarità del metodo adottato dal regista, fondato su una lunghissima fase di prove prima delle riprese).

Uno dei motivi ricorrenti nell’opera di Duprat-Cohn-Duprat è quello del sogno di cominciare una nuova vita e dell’incubo di rivivere una seconda volta quella vecchia (Il cittadino illustre, Querida voy a comprar cigarillos y vuelvo). Anche in Mi obra maestra il protagonista si trova paradossalmente a cominciare una nuova vita e, allo stesso tempo, a rivivere la vecchia quando gli eventi gli consentono di ripetere, a distanza di anni, lo stile (o la “maniera”?) del suo periodo di successo. Questo permette agli autori di ironizzare sul contrasto tra “autentico” e “falso”. Che non riguarda solo l’arte, ma la vita stessa: quando il gallerista è un “vero” amico e quando recita una finta amicizia con secondi fini? Le intenzioni dell’artista, come quelle di ogni essere umano, restano nascoste e inattingibili. 

Il punto di vista dei tre autori non è dunque quello, manicheo, di chi pensa di poter smascherare gli inganni e svelare la “verità” (il personaggio del giovane idealista è dipinto con simpatia ma descritto come irrimediabilmente ingenuo). Il loro punto di vista è quello, ironico e disincantato, di chi, sapendo di essere dentro una finzione (l’arte, la vita) e di non poterne uscire, invita, a partire dal prologo, a osservare questa finzione con più attenzione…