Orizzonti

Princess di Roberto De Paolis

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Il suo pregio è anche il suo difetto. Come ha dichiarato l'autore, Roberto De Paolis che nel 2017 con la sua opera prima, Cuori puri (stilisticamente ed empaticamente molto simile), aveva favorevolmente impressionato alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes ed era approdato in seguito alla nomination ai David di Donatello: «E’ stato un film molto istintivo, seguendo quello che Glory provava anche durante le riprese».

Nel personaggio di Princess (e delle sue amiche) si fondono le storie di tante persone, prostitute nigeriane senza possibilità di scelta («senza documenti no job, con i documenti no job»). 19enne – ma non è del tutto certo – vive con le colleghe vicino a Ostia e pratica il mestiere più vecchio del mondo lungo una strada che attraversa la boscaglia, tra sentieri, funghi, alberi, sterpi, qualche volpe e vari “camminatori”. A suo mondo quel posto diventa per Princess anche un rifugio in cui fantasticare e dove esercita il “lavoro”, con una appariscente parrucca rosa shocking ma con una sua etica precisa, magari sublimata nei territori del folklore magico («Non uso il mio vero corpo per fare “il lavoro”, uso il corpo di un’altra donna che vive in Nigeria per lavorare...» segue racconto di un sortilegio di scambio di persona). Vitale e capace di passare in un amen dall'irritazione all'allegria, dallo scontro isterico alla crisi emotiva, alla preghiera appassionata e devota in un luogo adibito a culto per la comunità nigeriana (Princess del resto si apre con una invocazione propiziatoria, inginocchiata davanti a un tronco: «benedicimi con più clienti e dammi più soldi per la mia anima»), dopo vari e variegati incontri e una furiosa litigata con le amiche-colleghe, stringe amicizia e un'illusione di amore con un uomo di Ostia, gentile e stravagante solo un pochino («sono una persona come te. Trattami bene, non voglio essere usata. Entri nella mia vita e non mi paghi e te ne vai, vuol dire che mi usi e basta»). Che sia una possibilità percorribile?

Il fatto è che il pregio di quel girare senza fronzoli, a distanza ravvicinata, sobrio ma empaticamente partecipe, assemblando esperienze, racconti, atteggiamenti delle stesse protagoniste del film, alla lunga si converte anche nel suo limite, in un andare da un episodio all'altro cercando di evolvere poi in un racconto a sviluppo narrativo senza la necessaria convinzione (e magari ruffiana malizia).

È “giusto” un ritratto di una personalità peraltro notevole, combattiva e dignitosa. Glory Kevin, così si chiama la protagonista, infatti non pare davvero una debuttante; si impossessa della scena e del suo personaggio con una aderenza e una grinta impressionanti, reggendo alla grande il confronto con le amiche rivali e con attori di speronata professionalità come Lino Musella, Salvatore Striano, Maurizio Lombardi.