Fuori concorso

The Kiev Trial di Sergei Loznitsa

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The Kiev Trial ricomincia dove Babi Yar. Context (2021) finiva. Anzi, è quasi un estratto di quest’ultimo, una prosecuzione, un frammento necessario per cercare di dare completezza a quello sterminato mosaico di immagini.

Come suggerisce il titolo The Kiev Trial racconta di un processo. Segnatamente quello tenutosi nella capitale Ucraina nel gennaio del 1946 che vide presentarsi alla sbarra 15 ufficiali e sottoufficiali delle SS e della Wehrmacht accusati di crimini contro l’umanità perpetrati ai danni del popolo ucraino. Loznitsa utilizza filmati d’archivio mai visti prima e provenienti dagli archivi statali russo (il Krasnogorsk-RGAKFD) e ucraino – sui quali opera, come di consueto, un minuzioso lavoro di restauro e ripulitura – per mettere in scena quello che fu uno dei primi procedimenti penali ai danni di criminali di guerra dopo il 1945, prima ancora di Norimberga. Insieme ad altri 20 processi pubblici tenutisi in diverse repubbliche sovietiche negli stessi mesi, quello di Kiev fu la diretta conseguenza del decreto 160/23 emanato dal Presidium del Soviet supremo dell’URSS il 19 aprile 1943 e che mirava a intraprendere misure punitive contro i nazisti ritenuti colpevoli di aver ucciso e torturato la popolazione civile sovietica.

Il film mette in ordine i giorni e le fasi del processo. Vediamo gli imputati dichiararsi sin da subito colpevoli di fronte alla Corte e poi venire interrogati uno per uno dai giudici, descrivendo con grande freddezza e dovizia di particolari i dettagli dei rastrellamenti, delle esecuzioni e delle fasi di inumazione o cremazione dei cadaveri delle migliaia di vittime. Sono evidenti la natura e lo scopo propagandistico di queste immagini, con i nazisti costretti a recitare un copione scritto e preparato dalle autorità sovietiche e le cui parole pronunciate in tedesco vengono tradotte in russo da solerti interpreti simultanei (a loro volta parte della recita). Nonostante questo però l’impressione e lo stordimento che gli interrogatori suscitano è sconvolgente. E rendono perfettamente l’idea di quanto il popolo sovietico abbia pagato in termini di sangue la liberazione dell’Europa contro il nazifascismo. Ma queste immagini sono anche in grado di testimoniare come poche altre la mutevolezza e la fragilità del concetto di giustizia, soprattutto se parametrato alla sofferenza e ai sacrifici di un popolo e un paese in guerra.

Del resto è impossibile, di fronte a una storia (sì perché la narrazione che Loznitsa compie con il suo found footage va oltre il concetto classico di documentario) come questa restare indifferenti e non mettere di fronte alla distanza storica la propria emotività, arrivando perfino a provare una sorta di catarsi nel vedere le immagini delle esecuzioni con cui il film si chiude – peraltro le stesse identiche con le quali si concludeva anche Babi Yar. Context. Una complessità e un accumulo di livelli di lettura e significanti quelli che si trovano nei film di Loznitsa – soprattutto questi ultimi costruiti a partire dall’archivio RGAKFD (oltre a quelli citati anche The Trial, 2018 e State Funeral, 2019) – capaci di dar vita quasi a un genere cinematografico a sé, in cui la storia e la memoria si intrecciano e confrontano con i nodi della loro rappresentazione. Mettendo in crisi, attraverso l’immagine, il concetto stesso di racconto storico tradizionale.

Ma sono anche immagini che diventa difficile non sovrapporre al presente, in cui l’Ucraina, Kiev e i luoghi che nel film si vedono, si sono trasformati in un altrettanto agghiacciante scenario di guerra. Loznitsa, che aveva iniziato le sue ricerche nel 2021, dice ovviamente che al tempo non poteva nemmeno lontanamente immaginare quello che sarebbe successo, ma che tuttavia auspica in un futuro prossimo in cui altri e nuovi criminali di guerra finiscano alla sbarra. E forse questa imprevedibilità, questa inaspettata urgenza e attualità di materiali tanto datati e dimenticati è solo un altro, stupefacente, aspetto legato alle immagini e alla loro inesauribile carica politica.