Silvio Soldini

3/19

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Ci sono vite che scorrono tranquille, sempre uguali a se stesse. E ce ne sono altre che presentano fratture, punti di svolta. Delle crepe, o una crepa: un momento in cui tutto ciò che si è e che si fa viene messo in discussione, per dare vita ad altro. E non serve chissà che grande evento. Basta qualcosa di piccolo, di semplice, purché sia significativo. Purché tocchi il cuore. 

E’ ciò che accade a Camilla, la protagonista del nuovo film di Silvio Soldini, 3/19, un’avvocatessa d’affari completamente immersa in un lavoro che non le lascia libere nemmeno le domeniche. Camilla ha un ex marito, una figlia ventenne con cui quasi non parla e una relazione con un uomo sposato, perché “non avrebbe tempo” per qualcosa di diverso, di più impegnativo; e la sua vita affollata sembra non lasciare spazio ad altro fino al giorno in cui viene investita da uno scooter con a bordo due ragazzi, uno dei quali scappa lasciando l’altro a terra; e questo muore poco dopo, in sala operatoria. Camilla non ne può niente, del resto è lei ad essere stata investita, e i pedoni non sono mai perseguibili, le conferma l’amica magistrato; ma sapere che una persona è morta perché ha incontrato lei sulla sua strada, come, lo scopriamo a fine film, la sorella è morta giovane, forse suicida, anche perché lei non è andata ad aprirle la porta di casa in una certa notte, la porta ad una crisi personale e la spinge, anche, a conoscere una realtà lontana mille miglia dalla propria, quella degli “invisibili”: le persone che non hanno un nome e che in caso di morte sono identificate con un numero, perché nessuno le riconosce.

3/19, in questo caso: la terza persona non identificata del 2019. Vite povere, difficili, vissute in una clandestinità costretta da una provenienza che non è a sua volta conosciuta (Iraq, Afghanistan o Siria?). Ci sono solo degli oggetti, a identificarli; il ragazzo del film aveva con sé dei soldi, il tesserino della mensa dei poveri con fotografia e nome falso, la foto di una donna (la madre?) e una canzone in arabo che parlava di mare e di vento, e di alberi. Gli stessi che compaiono in sogno alla protagonista, e che aprono il film. Un’immagine serena, un’immagine di pace che contrasta con l’acqua che sale e sale nella stanza chiusa a chiave di un sogno, anzi di un incubo, dal tenore differente.

Il film non è comunque, come ci si potrebbe aspettare a questo punto, un saggio sul confronto/ scontro tra realtà sociali diverse presenti in una città, Milano, che in effetti ha due anime, quella alto-borghese sfavillante e quella dei poveri (italiani o stranieri che siano) e di chi, di loro, si occupa attivamente; né una sorta di thriller sulla ricerca che Camilla mette in atto per scoprire chi sia questo ragazzo senza nome, questo immigrato clandestino, arrivato dal Medio Oriente via terra con segni di tortura sul corpo, che nessuno è ancora andato a riconoscere, nonostante sia stato inserito nel sito dei cadaveri non identificati. L’attenzione di Soldini e dei suoi cosceneggiatori Leondeff e Lantieri è innanzitutto su di lei (una bravissima Kasia Smutniak), sul senso di sconvolgimento, di disagio che questo fatto provoca in lei; sulla riflessione che questo la porta a fare sulla propria vita, sul rapporto con la figlia in primo luogo; e sui ricordi che l’episodio fa scaturire, quelli della sorella morta a sua volta giovane. In nessun caso, è stata lei la causa della morte; ma in entrambi, sorella e ragazzo, c’è un senso di corresponsabilità oggettiva che è un senso di fatalità, di un caso (tema chiave in Soldini) che è in realtà destino, potenza del destino. Com’era stato in Le acrobate (1997), in cui Elena conosce Anita investendola, come qui, in una notte di pioggia e, come qui il ragazzo è il tramite per portare la protagonista a riprendere in mano la propria vita e a conoscere qualcuno che potrà essere importante per lei, così lì, tramite Anita, Elena conosceva Maria ed entrambi i film si concludevano con un viaggio, con un luogo che poteva ospitare la nuova consapevolezza dei personaggi, e il loro avvicinamento.  

Ma andando ancora oltre, in quest’opera un elemento importante è la sacralità non solo della vita, ma anche della morte. E la necessità che qualcuno accompagni la persona anche (o almeno) in quel momento, anche dopo che la morte è avvenuta. Dare dignità alla morte come la si dà alla vita, anche se il cadavere non ha un nome. Dare senso, dare sguardo. E dare la giusta sepoltura, in un luogo piacevole. Per Camilla anche guardare in faccia questo aspetto della vita, cosa che non era riuscita a fare con la sorella. Perché, come dice sua figlia, la morte di una persona è come “un buco nel mondo”, che si chiude solo se qualcuno celebra il lutto.   


 

3/19
Italia, Svizzera, 2021, 120'
Titolo originale:
3/19
Regia:
Silvio Soldini
Cast:
Kasia Smutniak, Francesco Colella, Caterina Forza, Paolo Mazzarelli, Martina De Santis, Antonio Zavatteri
Produzione:
Vision Distribution, Lumière & Co.
Distribuzione:
Vision Distribution

La vita di Camilla, avvocatessa di successo e una figlia ormai grande, viene sconvolta in una notte di pioggia a Milano. Un incidente stradale, di cui forse è responsabile, la coinvolge in un’indagine che la porterà molto lontana dai luoghi e dai paesaggi che è abituata a frequentare. Al suo fianco in questa strada misteriosa e incerta, c’è Bruno, direttore dell’obitorio, con cui Camilla ‐ mentre cerca di ricostruire la vita di un estraneo ‐ scopre sé stessa.

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