Tamas Yvan Topolanszky

Curtiz

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Il biopic negli ultimi anni si è dimostrato uno dei generi più dinamici e sperimentali, una sfida interessante in grado di sfruttare il richiamo di un nome altisonante e grato al grande pubblico per mostrare le abilità e le intuizioni cinematografiche di registi vogliosi di mettersi in vetrina. L’esordio nel lungometraggio di Tamas Yvan Topolanszky parte proprio da qui.

Curtiz ha infatti l’ambizione di tracciare il profilo di uno dei registi più blasonati della Hollywood classica concentrandosi però su un taglio ben preciso: raccontare la lavorazione di quello che senza ombra di dubbio è diventato il suo titolo più celebre, Casablanca (1942).

Quando si gioca con miti intramontabili come questi, il rischio è ovviamente altissimo. Tamas Yvan Topolanszky si avventura così in una sfida assai delicata. Per raccontare lo studio system, non può sposare uno sguardo lontano da quegli stilemi. Al contempo però, firmare una biografia canonica in questi anni sembrerebbe anacronistico. Da un lato sente il richiamo dell’ambizione per mettersi in mostra agli occhi di produttori californiani, dall’altro deve accontentare chi gli ha permesso di realizzare il progetto, un film finanziato dalla produzione ungherese e che celebra il talento di un regista nato e cresciuto proprio in quelle terre. Basta un passo falso, anche lieve, a far crollare tutto il castello. Così, il giovane regista procede con una narrazione e una progettualità quasi matematica, studiata al millimetro e che trova in questa sua struttura al contempo il più grande limite ma anche la forza necessaria per condurre la nave in porto.

Spesso le tagline di film biografici mettono in luce quanto una determinata pellicola voglia raccontare “l’uomo dietro la leggenda”. Qui invece avviene l’opposto, ci si concentra sulla leggenda dietro l’uomo. Curtiz usa il nome del grande regista ungherese per spostare i riflettori sulla sua storia, la sua personalità, le sue lacune affettive, ma in realtà è un grandissimo e sentito omaggio a un film intramontabile e a un’epoca produttiva ormai nebulosa e lontana che sarebbe meglio lasciare intatta nella nostra memoria per non macchiare la sua aura divina. Casablanca è sempre presente, in ogni minuto del film, in ogni inquadratura, a cominciare dal bianco e nero sino al fuori fuoco dei primi piani. I costumi, gli aneddoti, le battute, gli imprevisti, i divi che hanno dato vita a quel fenomeno sono tutti in scena, ma come comparse, di lato. Al centro c’è sempre e solo il grande Curtiz, la sua ossessione per il lavoro, la sua inettitudine familiare, i suoi vizi e il suo amore per un mestiere che ha contribuito a innalzare a forma d’arte.

Tamas Yvan Topolanszky segue in maniera calibrata questo scheletro, attento a non lasciar trapelare troppo le (sue) emozioni e in questo senso Curtiz soffre parecchio, non tanto come film in sé, quanto come un atto d’amore consumato solo superficialmente, a distanza. Si gioisce per essere al cospetto di Sam e del suo piano, ma non si arriva a desiderare di implorarlo per suonare ancora.

Curtiz
Ungheria, 2018, 98'
Titolo originale:
Curtiz
Regia:
Tamas Yvan Topolanszky
Sceneggiatura:
Tamas Yvan Topolanszky, Zsuzsanna Bak
Fotografia:
Zoltán Dévényi
Montaggio:
Eszter Bodoky
Musica:
Gábor Subicz
Cast:
Björn Freiberg, Caroline Boulton, Declan Hannigan, Evelin Dobos, Ferenc Lengyel, Lili Bordán, Nikolett Barabas, Scott Alexander Young
Produzione:
Halluci-Nation, JUNO11 Pictures
Distribuzione:
Netflix

Determinato e arrogante, il regista ungherese emigrato a Hollywood Michael Curtiz deve vedersela con la politica dello studio e un dramma familiare durante la realizzazione di Casablanca, nel 1942.

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