Daniel Kwan, Daniel Scheinert

Everything Everywhere All at Once

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«You’re capable of anything because you’re so bad at everything».

Sin dalla prima scena, al ritmo lento delle lunghe inquadrature iniziali, la protagonista Evelyn è mostrata come una donna qualunque, alle prese con le faccende ordinarie di una vita mediocre. Antieroina per eccellenza, vicina alla mezza età, insoddisfatta del presente, è deliberatamente incapace di curare le proprie relazioni: dal pressoché inesistente rapporto con il marito, che vorrebbe il divorzio, all’ipocritico legame con il padre, intoccabile figura preconcetta da non mettere in discussione; dalle grossolane interazioni con i clienti della lavanderia al contatto intermittente e superficiale con la figlia, che lotta tra la volontà di liberarsi dall’impaccio inutile dei fragili nessi familiari e l’urgenza di sentirsi accolta incondizionatamente. Proprio questa caratterizzazione, tanto forte, sincera, impietosa, fa da contrappeso all’inspiegabile parabola della protagonista, eletta tra innumerevoli altre Evelyn dalle innumerevoli altre doti per sconfiggere il male dell’universo.

«You’re capable of anything because you’re so bad at everything» è la più chiara spiegazione che la donna ottiene ponendosi lo stesso dubbio dello spettatore, tanto spietata quanto incredibilmente accurata.

Everything Everywhere All at Once è di una franchezza rara, bruto e incensurato come il filo illogico del pensiero e del sogno, che dal vuoto può creare tutto e il contrario di tutto, dal nulla sviluppare immense potenzialità. Il film è come i suoi personaggi: dall’ordinario allo straordinario, dal poco al tutto, improvvisamente. Basta una svolta imprevedibile – mangiare un burrocacao o sniffare una mosca – per tramutarsi in potenziale inesplorato. Mutevole e inaspettato, il film viaggia fluidamente da un genere all’altro con abbandono e compiacimento, allo stesso modo in cui Evelyn e Jobu si intrattengono in una lotta sempre più viva, concitata e caotica, che assume le sembianze di una magnifica, seppur assurda, coreografia.

Lo sdoppiamento, il molteplice, la sovrapposizione di generi a livello formale, così come il turbolento universo pluridimensionale in cui navigano i personaggi crea inevitabilmente il caos - per chi lo vive così come per chi lo guarda. Ma è un caos mansueto, perché solo apparente, perché conscio di tutto ciò che contiene, come l’“everything bagel” di Jobu Tupaki: nulla è lì per caso, nemmeno l’interpretazione stonata di Also sprach Zarathustra nell’esilarante estratto parodico del capolavoro di Kubrick. Le innumerevoli citazioni cinematografiche, accanto agli esperimenti con i generi, e alla scena romantica alla televisione che si ripete nelle diverse dimensioni, alimentano questa ricerca attiva del più, del tanto, del maggiore - e con essa l’inganno che qualcosa di ulteriore significhi qualcosa di migliore. Non è forse questa la grande illusione della società contemporanea?

«We are all small and stupid», concludono Joy-sasso ed Evelyn-sasso, nel silenzio assoluto, nella calma più totale e più straniante di un mondo dove la vita umana non è mai riuscita a svilupparsi. Possiamo avere tutto, come il bagel/buco nero che risucchia qualsiasi cosa attorno a sé, e al contempo essere nulla. Oppure essere nullità, riscoprirsi supereroi, e continuare a scegliere la vita di sempre.

La poesia di questo film non sta tanto nella danza continua di rimandi, citazioni, e giochi di parole, o nella placida coesistenza di spazi e tempi tenuta insieme da un montaggio ineccepibile, ma nella consapevolezza che dopotutto ciò che conta è quello che già abbiamo e che diamo per scontato: la relazione con gli altri. E in questo circolo virtuoso che dall’inizio, dopo una serie di piroette eseguite a meraviglia, torna all’inizio, è proprio lì che troviamo la morale della storia di Evelyn: nello specchietto che apre il film, e che rimane fisso, in ralenti, per lunghi secondi, davanti ai nostri occhi.


 

Everything Everywhere All at Once
Usa, 2022, 139'
Titolo originale:
Everything Everywhere All at Once
Regia:
Daniel Kwan, Daniel Scheinert
Sceneggiatura:
Daniel Kwan, Daniel Scheinert
Fotografia:
Larkin Seiple
Montaggio:
Paul Rogers
Musica:
Son Lux
Cast:
Michelle Yeoh, Stephanie Hsu, Ke Huy Quan, James Hong, Jamie Lee Curtis, Tallie Medel, Jenny Slate, Harry Shum Jr., Randy Newman
Produzione:
Year of The Rat, A24, AGBO Production, Ley Line Entertainment
Distribuzione:
I Wonder Pictures

Evelyn Wang gestisce una piccola lavanderia a gettoni, ha una figlia adolescente che non capisce più, un padre rintronato e un matrimonio alla frutta. Un controllo fiscale di routine diventa inaspettatamente la porta attraverso cui Evelyn viene trascinata in una avvincente e coloratissima avventura nel multiverso più innovativo e divertente mai visto al cinema. Chiamata a salvare il destino degli universi, dovrà attingere a tutto il suo coraggio per sconfiggere un nemico all’apparenza inarrestabile e riportare l’armonia nella sua famiglia.

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