Bernard Rose

Frankenstein di Bernard Rose

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Il cinema dell’orrore, oggi, ha ancora bisogno delle sue pietre miliari.

Che ciò sia dovuto al fascino esercitato da figure immortali dell’immaginario collettivo o al proverbiale astio hollywoodiano nei confronti della novità, poco importa: il grande schermo non è mai riuscito a fare a meno di protagonisti come Dracula, la creatura di Frankenstein o l’uomo lupo. E il recente annuncio da parte della Universal di un nuovo restyling (l’ennesimo) del suo catalogo di mostri classici ne è l’ennesima conferma.

Nel frattempo, proprio il personaggio creato da Mary Shelley nel 1818 torna al cinema in due nuove versioni, completamente differenti tra loro. Se Victor: La storia segreta del dott. Frankenstein di Paul McGuigan rilegge il romanzo originario cercando di adottare un punto di vista alternativo, soffermandosi sul concepimento della creatura e stravolgendo ruoli e situazioni, il film di Bernard Rose sposta l’intera vicenda ai giorni nostri suggerendo stimolanti riflessioni sul concetto stesso di riadattamento. Come (ri)portare al cinema nel 2016 una storia ormai già abbondantemente nota a chiunque? Utilizzandone lo schema narrativo basilare come pretesto per parlare di altro, ad esempio.

Questo Frankenstein tralascia completamente l’intera fase della creazione (il dettaglio della stampante 3D viene rivelato solamente nella parte finale, senza clamore) e comincia con una nascita, quella di una creatura bellissima che di mostruoso non sembra avere proprio nulla. Almeno fino a quando sul proprio corpo non cominciano ad apparire pustole e malformazioni, improvvise e immotivate esattamente come le ostilità che incontrerà lungo il cammino. Ecco allora che il film di Rose comincia progressivamente a rivelarsi per quello che è: un racconto che nasce da territori prettamente di genere per poi trasformarsi in continuazione, o meglio, utilizzando i codici dell’horror per adottare uno sguardo sulla contemporaneità. Una storia di padri, madri e figli; di colpe e di responsabilità. La creatura di Frankenstein, oggi, è un reietto, un barbone condannato a un’esistenza ai margini, alla disperata ricerca di un’appartenenza (sociale, ma soprattutto umana) che sembra essergli negata a priori.

Le sovrastrutture uccidono la bellezza, ma è la mancanza di amore a dare il colpo di grazia definitivo, sempre e comunque.

Rose rispetta alcuni tòpoi della mitologia (letteraria o cinematografica), come la sequenza con la bambina o l’incontro con il cieco, innestando quindi elementi di fedeltà narrativa all’interno di una rivisitazione personalissima e riesce a fare della povertà di mezzi una sorprendente virtù (esattamente come nel precedente Boxing Day). Del romanzo della Shelley è rimasto soltanto lo scheletro narrativo, ridotto ai minimi termini, ma la portata di dolore è rimasta invariata: è cambiata solamente la data, spostata di due secoli in avanti.

Frankenstein
Usa, Germania, 2016, 85'
Titolo originale:
Frankenstein
Regia:
Bernard Rose
Sceneggiatura:
Bernard Rose
Fotografia:
Candace Higgins
Musica:
Halli Cauthery
Cast:
Xavier Samuel, Carrie-Anne Moss, Danny Huston, Tony Todd, James Lew, Maya Erskine
Produzione:
Bad Badger, Eclectic Pictures, Summerstorm Entertainment
Distribuzione:
Barter Entertainment

Los Angeles, oggi. In un laboratorio privato, il dottor Victor Frankenstein, con l'aiuto di un collega e della moglie, crea dal nulla una creatura dal corpo umano adulto e dal cuore di un neonato. Il ragazzo, chiamato Adam, chiede amore materno e attenzione, ma presto scatena una forza sovrumana e omicida. Ucciso dai suoi creatori, Adam in realtà si risveglia e comincia a vagare per le strade di una Los Angeles periferica e disperata, cercando la madre e la vendetta.

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