Ali Abbasi

Holy Spider

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Il velo delle donne iraniane, in Holy Spider, è un’oggetto emblematico, quasi dotato di una sua gestualità: cade inavvertitamente, è protezione, indice di appartenenza e soppressione ideologica, confine tra spazio pubblico e privato, ma soprattutto arma letale, oggetto di strangolamento, firma mortifera seriale. Inoltre, ispirato a fatti realmente accaduti da più di due decadi, Holy Spider trova nel velo il riferimento oggettuale che rende la sua storia tristemente attuale, dato che l’uscita del film (presentato a Cannes in concorso) ha preceduto di poco le proteste successive all’uccisione di Masha Amini, ventiduenne iraniana morta per mano della polizia, a causa di una ciocca di capelli refrattaria alla copertura dell’hijab. Insomma, l’eco del passato prossimo colto da Holy Spider conferisce alle sue vicende una nota di anacronistica e potente simultaneità che Ali Abbasi non cavalca con sentimentalismi o facili slanci emotivi. Holy Spider è un film asciutto e compostamente indignato, che non consente lacune o spazi bui.

Siamo all’inizio del millennio, un padre di famiglia, muratore, veterano di guerra, vagabonda per la città iraniana di Meschad, uccidendo prostitute in nome di Allah, professandosi redentore della città, del tempo in cui vive, del futuro dei suoi figli. Inoltre, annuncia i suoi omicidi alla stampa, è impaziente di titoli su sé stesso nei quotidiani, rimpiange di non essere diventato un martire durante la guerra. È raccontato da un approccio osservativo che pur non replicando l’originalità di Border, ne ricalca la trasparenza nel delineare l’essere umano e il suo rapporto con il male in chiave sociologica. Conosciamo il colpevole dall’inizio, lo cogliamo in tutta la sua paradossale doppiezza omicida e abitudinaria: il whodunnit è dunque sabotato in partenza, in favore di una profonda immersione alla radice culturale e psicologica della violenza del personaggio. In questo thriller cupo, la ricerca del colpevole si impernia sul futuro, alla stortura socioculturale che si tramanda di generazione in generazione. Gli omicidi si ripetono, seguono la stessa partitura gestuale, la stessa morbosa orchestrazione seriale, tanto che il racconto assume tratti catalogatori.

Allo stesso modo, la costruzione della traiettoria di Rahimi, la giornalista investigativa interpretata da Zar Amir Ebrahimi, vincitrice del premio per la miglior interpretazione femminile a Cannes, è progressiva e costante. Il suo personaggio sonda le ombre dei meccanismi di potere, il maschilismo delle autorità e la malevola indifferenza dell’istituzione politica e religiosa. È un controcampo opposto e speculare al personaggio di Saeed, uno sguardo interno da reportage, non risolto dalla mera conclusione investigativa che, gradino dopo gradino, arriva ad una conclusione amara. L’alternanza delle due linee narrative è volutamente priva di ambiguità, piana nel comporre i pezzi di un incontro preannunciato. Perché il nucleo di Holy Spider non è l’atto violento, ma la sua origine sociale e culturale, non il male quanto la sua contagiosità, come dimostra il raggelante reenactment infantile dei modus operandi dell’omicida, indizio di una redenzione forse impossibile, e attestazione della severità di questo film raggelante nella sua trasparenza.

Holy Spider è un’opera che mostra tutto: la misoginia come istanza culturale, Il dogma fondamentalista come precetto politico, concetto superiore alla legge e alla vita stessa. È un film attento a cogliere il trauma nel modo più rotondo e profondo possibile, tanto da sacrificare il ritmo thriller in favore della restituzione formale della durezza di ciò che racconta. Ma se può risultare elementare nella costruzione, rimane complesso e abissale nel delineare l’essere umano.


 

Holy Spider
Francia, Germania, Svezia, Danimarca, 2022, 118'
Titolo originale:
id.
Regia:
Ali Abbasi
Sceneggiatura:
Ali Abbasi, Afshin Kamran Bahrami, Jonas Wagner
Fotografia:
Nadim Carlsen
Montaggio:
Olivia Neergaard-Holm, Hayedeh Safiyari
Musica:
Martin Dirkov
Cast:
Mehdi Bajestani, Zar Amir-Ebrahimi, Arash Ashtiani, Forouzan Jamshidnejad, Sina Parvaneh, Nima Akbarpour, Mesbah Taleb
Produzione:
Profile Pictures, One Two Films
Distribuzione:
Academy Two

Iran, 2001. Raihimi, una giornalista di base a Teheran, si sposta nella città santa di Mashhad per indagare su un serial killer che uccide le prostitute convinto di liberare le strade dai peccatori per conto di Dio. Nonostante il numero delle vittime continui ad aumentare, le autorità locali non sembrano aver fretta di risolvere il caso e Raihimi si rende presto conto che potrà contare solo sulle proprie forze.

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