Frank Pavich

Jodorowsky’s Dune

film review top image

Jodorowsky’s Dune di Frank Pavich è un lavoro di filologia cinematografica. Un po’ come Lost in La Mancha o Burden of Dreams, l’obiettivo non è raccontare una storia nuova, ma andare alla ricerca di progetti dimenticati che, grazie alla loro forza visionaria, continuano ad influenzare in modo sotterraneo le produzioni contemporanee. In questi casi, il cinema si articola come un dispositivo che scava nel suo stesso passato per riconferire dignità ad opere che non trovano posto nella storiografia tradizionale.

È questo il caso di Dune di Jodorowsky: un lavoro immenso e pionieristico che Hollywood, alle prese con un grande rinnovamento culturale iniziato con Il laureato di Mike Nichols ed esploso poi con i film di Scorsese, De Palma, Altman, Coppola ecc., non fu mai interessata a produrre. Dopotutto la posizione di Jodorowsky era paradossale. Consacrato quale grande regista dalla cinefilia europea, egli chiedeva alle major di essere riconosciuto come autore e di controllare completamente il proprio film in un ambiente che ancora non riconosceva (o quasi) il ruolo degli autori. Tuttavia il documentario di Pavich, distribuito in Italia sono in questi giorni grazie all’incredibile hype del prossimo Dune di Villeneuve, preferisce concentrarsi, piuttosto che sulle vicende produttive del lavoro di Jodorowsky, sul formidabile sforzo artistico che impegnò il regista cileno per almeno due anni.

Nel 1975 Jodorowsky era all’apice del successo. Per vent’anni aveva lavorato per il teatro scrivendo decine di pièce, collaborando con Beppe Costa, Marcel Marceau e Feranando Arrabal ma la fama arrivò soltanto grazie a El Topo e La montagna sacra, due opere visionarie, surrealiste, intrese di orrori, magia e psicanalisi.

È in questo contesto che Jodorowsky, omaggiato come grande cineasta dalla critica e dal pubblico festivaliero, grazie all’appoggio di due produttori indipendenti (Jean-Paul Gibon e Michel Seydoux) e stimolato da un clima culturale particolarmente effervescente, inizia a lavorare a Dune di Frank Herbert. L’ambizione del regista è sin da subito infinita: il progetto non dev’essere una semplice trasposizione per immagini delle vicende di Paul Atreides, lavoro di per sé già impegnativo, ma un’esperienza audio-visiva unica e irripetibile che avrebbe dovuto «cambiare e aprire la mente dei giovani di tutto il mondo». Il tentativo di Jodorowsky era quello di produrre un’opera «sacra, unica, mai realizzata e grondante di spiritualità» capace di sfruttare la complessità narrativa del romanzo per raccontare qualcos’altro, qualcosa di nuovo e mai visto prima d’ora. Il film non sarebbe stata una trasposizione del Dune di Herbert, bensì il Jodorowsky’s Dune.

Le vicende produttive che seguirono furono incredibili. Jodorowsky organizzò un team di lavoro di prim’ordine: con il fumettista Moebius scrisse tutto lo storyboard del film, scena dopo scena, sequenza dopo sequenza, carrellata dopo carrellata: tutto era già nella mente di Jodorowsky e il genio artistico di Moebius gli permise di dare forma a quei movimenti di macchina. Dan O’Bannon venne coinvolto per gli effetti speciali mentre a Chris Foss e Hans Giger, all’epoca completamente estranei al mondo del cinema, fu affidato il compito di disegnare i personaggi, i paesaggi e le astronavi; come attori Jodorowsky convinse, tra gli altri, Orson Welles (barone Harkonnen), Salvador Dalì (l’imperatore della Galassia), Mick Jagger (Feyd Rautha) e pure Udo Kier (Piter de Vries); dal punto di vista compositivo, le musiche sarebbero state curate dai Tangerine Dream, dai Pink Floyd e dai Magma.

Insomma, il desiderio di Jodorowsky era quello di coinvolgere le personalità più geniali del tempo e anche per questo il budget lievitò fino ai 15 milioni di dollari (per fare un breve raffronto, 2001 di Kubrick costò, qualche anno prima, 12 milioni). Tuttavia, come già accennato, ciò che fu determinate per il fallimento dell’impresa, non fu il costo di realizzazione quanto la reticenza delle grosse case produttive verso la poetica di Jodorowsky: lo storyboard venne considerato folle, enigmatico, ambiguo ed eccessivo. E fu così che il progetto, almeno dal punto di vista cinematografico, venne abbandonato – in verità qualche anno dopo Dino de Laurentiis acquistò i diritti del romanzo e nel 1984 venne presentato Dune diretto però da David Lynch.

Per raccontare gli eventi Pavich si affida perlopiù ai ricordi e all’estro narrativo di Jodorowsky mentre i vecchi collaboratori del regista, coinvolti solo parzialmente nelle interviste, ricordano l’impresa con un misto di venerazione, distacco e soggezione. Insomma, benché il pericolo dell’agiografia sia sempre dietro l’angolo (emblematica, benché filologicamente interessante, la sequenza dove Pavich mostra le molte influenze che il Jodorowsky’s Dune avrebbe avuto su tutto il cinema di fantascienza dei successivi 20 anni), il documentario ha il merito di raccontare una storia dimenticata e lo fa con un’indiscussa perizia archeologica. Sarà ora interessante capire se (e in che modo) il nuovo Dune di Villeneuve intratterrà un legame con il progetto di Jodorowsky. La sensazione è che la distanza sia molta, ma sicuramente alla Warner qualcuno avrà tolto la polvere al voluminoso storyboard del regista cileno.


 

Jodorowsky's Dune
Usa, 2013, 90'
Titolo originale:
Jodorowsky's Dune
Regia:
Frank Pavich
Fotografia:
David Cavallo
Montaggio:
Paul Docherty, Alex Ricciardi
Musica:
Kurt Stenzel
Produzione:
Highline Pictures, Jododune, Snowfort Pictures
Distribuzione:
Wanted, Valmyn

Nel 1975 Alejandro Jodorowsky era il cineasta intellettuale più ricercato del mondo, aveva carta bianca e quello che voleva era realizzare il film più importante della storia del cinema, traendo spunto dai romanzi della saga di Dune di Frank Herbert. Il suo Dune, doveva essere un film rivoluzionario in grado di cambiare la mentalità delle giovani generazioni fornendo nuovi modelli di riferimento.Per fare questo il regista aveva coinvolto un team incredibile che comprendeva i designer H.R. Giger, Moebius e Chris Foss oltre all’esperto di effetti speciali Dan O’Bannon, le musiche dei Pink Floyd e attori come David Carradine, Mick Jagger, Salvador Dalì e Orson Welles.

poster