Asghar Farhadi

La parola e il caos. Un classico

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Guardando Il passato di Asghard Farhadi non è immediato (e chissà, magari nemmeno giusto) pensare di trovarsi di fronte a un esempio di cinema classico.

È una questione di scrittura, di messinscena, di montaggio; è la costruzione di una struttura impenetrabile che non prevede sbocchi e afferra l’attenzione dello spettatore per non mollarla più. Dal cinema classico Farhadi ha ereditato la capacità di racchiudere in uno schermo il mondo con le sue tensioni e i suoi contrasti. Solo non ha modellato il suo cinema sulla linearità del racconto e l’invisibilità dello stile, ma in linea con i tempi lo ha adeguato alla circolarità caotica della realtà.

Riproponendo la stessa formula logorroica ed estenuante di Una separazione (eliminando però il contesto sociale da una trama soprattutto sentimentale), Farhardi mette la forma al servizio della parola, non fa un cinema teatrale, ma trasforma la parola in un elemento narrativo, in una presenza concreta che entra nella scena per spezzarla. E il suo film, ancora costruito su una verità che emerge poco alla volta, che coinvolge più personaggi e allarga all’infinito l’albero genealogico di un racconto senza fine, lo costruisce come un tessitore, giro dopo giro, pezzo dopo pezzo.

Una coppia separata si incontra per divorziare legalmente: il marito iraniano torna a Parigi per firmare le carte, ma si fa coinvolgere dalla nuova vita dell’ex moglie, dal rapporto con il nuovo compagno, dalla disgrazia di un incidente alla moglie di quest’ultimo, dalla ribellione di una ragazzina convinta di aver un suicidio sulla coscienza… Un melodramma come si deve, insomma: non espanso alla Minnelli, ma concentrato e soffocato fino al punto di esplosione.

La tela di Farhadi vorrebbe infatti ricomporre la realtà – i legami fra le persone, il loro passato, le loro supposizioni – ma accumula così tante tensioni, così tante ragioni personali, da sfiorare l'entropia e dissolversi in un mistero tanto più reale quanto più inestricabile. Campi e controcampi, piani medi e totali fanno a pezzi la scena come nel cinema classico, nella speranza di ricomporla: ma ormai lo sappiamo che l’unita è perduta, che l'insieme non regge, e che il frammento è la sola unità misura rimasta.

Per questo Il passato chiude nel segno di una rottura: la paradossale rottura, cioè, di un piano sequenza che finalmente proibisce il montaggio, che lascia annegare ciò che resta da raccontare nel silenzio e nella durata di un unico movimento di macchina. Se qualcosa accadrà ancora, è giusto che il cinema non sia lì a distruggerlo.

Il passato
Francia, Italia, 2013, 130'
Titolo originale:
Le passé
Regia:
Asghar Farhadi
Sceneggiatura:
Asghar Farhadi
Fotografia:
Mahmoud Kalari
Montaggio:
Juliette Welfling
Musica:
Evgueni & Youli Galperine
Cast:
Bérénice Bejo, Tahar Rahim, Ali Mosaffa, Pauline Burlet, Elyes Aguis
Produzione:
Memento Films Production, France 3 Cinéma, Bim
Distribuzione:
Bim

Dopo quattro anni di separazione, Ahmad arriva a Parigi da Teheran su richiesta di Marie, la moglie francese, per espletare le formalità del loro divorzio. Durante il suo breve soggiorno, Ahmad scopre il rapporto conflittuale che Marie ha con sua figlia, Lucie. Gli sforzi Ahmad per cercare di migliorare questo rapporto sveleranno un segreto del passato.

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