Lana Wachowski

Matrix Resurrections

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In realtà non c’è alcun bisogno di scrivere una recensione di Matrix Resurrections. Basta guardarlo, e soprattutto ascoltarlo, Matrix Resurrections, per scriverne una recensione. È tutto nel film: il racconto, il meta-discorso, l'ironia, l'autoironia, il commento a parte, la glossa, la citazione, la ripresa del discorso, il remake, il reboot, l’ammiccamento, il gioco di specchi, Alice nel paese delle meraviglie, il déjà-vu (con tanto di gatto chiamato in quel modo, che fa tanto ironia social), la restaurazione, la rivolta, la rivoluzione, le rivoluzioni, ovviamente la resurrezione e le risurrezioni.

Niente che già non ci fosse nel primo film di venti e passa anni fa, ma con l’ulteriore grado – scontatissimo pure lui – del film consapevole di sé, del “critofilm” che diventa più che altro un “film-soliloquio”, un film ottuso che commenta ad alta voce tutto quello che succede e il significato da dare a tutto quello che succede (e stupisce, o forse no, vista la distanza siderale tra cinema e letteratura, che tra gli sceneggiatori ci sia il bravo scrittore Aleksandar Hemon). Un metodo buono per chi c’era, e può così ritrovare storie, personaggi e immagini, e per chi non c’era, e la saga di Matrix l’ha conosciuta di seconda mano (o non la conosce affatto) e non si stupisce dunque di vederla ridotta ad archivio e archeologia dell’immaginario.

Il discorso è il medesimo fatto da Star Wars con Il risveglio della forza, se non fosse che nel frattempo sono passati sei anni e sono arrivati almeno Ready Player One, Doctor Sleep e Blade Runner 2049 a raccontare il passato, i pensieri e le visioni dei loro personaggi attraverso le immagini dei film di cui erano il seguito, la rielaborazione, la rimeditazione, elevando a ipotesi narrativa e soluzione di messinscena l’ovvia verità dell’immagine come unica forma possibile di storiografia contemporanea (ma l’idea di utilizzare un film del passato come flashback di un personaggio era già del Soderbergh di L’inglese, lo stesso anno del primo Matrix, e chissà di chi prima ancora).

Matrix Resurrections è insomma un film figlio di sé stesso, onanista più che incestuoso, che non può nemmeno riflettere sulla dannazione della riproduzione seriale (nel frattempo è arrivato Moon, e volendo prima c'era The Truman Show) e quindi si limita a riprendere trama e situazioni della saga per mostrarla come prima matrice – con flashback, visioni e proiezioni di sequenze, nuovi personaggi che imitano i vecchi, vecchi interpreti che rifanno la loro versione giovane – e poi rilancia proclamando l'ennesima rivoluzione al grido trito e ritrito, non tanto dell’amore come motore del mondo, quanto della fluidità di genere e della liquidità come uniche innovazioni oggi possibili. Se non fosse che questa cosa, detta da Hollywood, suona come una predica mainstream ridotta a prodotto di consumo, ci sarebbe da aggiungere che Lana e Lilly Wachowski (anche se qui a scrivere e dirigere è solamente la prima) le stesse cose le avevano già dette con la prima stagione di Sense 8, nel 2015, quando ancora suonavano vagamente sorprendenti, se non proprio rivoluzionarie.

Il problema di Matrix Resurrections non sono nemmeno le immagini, come oggi va tanto di moda dire. Da anni nel cinema hollywoodiano non esiste alcun stile – alcuna immagine – in grado di far percepire e rivelare, al di là della propria superficie, un’altra superficie più autentica e profonda. In fondo, nel 1999 Matrix non fu una rivoluzione ma una rivelazione: invece di prevedere un mondo nuovo, sanciva la fine di quello vecchio e agiva come una mano che toglieva la maschera (ma anche qui: quello stesso anno, la maschera dal proprio volto Tom Cruise se la toglieva per davvero in Eyes Wide Shut, per poi ritrovarla al centro del suo cuscino alla fine della notte…). Da quel gesto di svelamento all'epoca sorprendente e decisivo il cinema hollywoodiano non si è più mosso, e fondamentalmente perché la sola direzione possibile sarebbe stata il digitale sciatto di INLAND EMPIRENemico pubblico e nessuno sarebbe stato in grado di ricostruire un’industria su quelle basi.

Oggi l’estetica digitale del nuovo Matrix non è più dark, cyber, punk e nemmeno transgender, ma è una tavola molle – collosa, più che liquida – di colori accesi e scenografie inesistenti, incapace per sua stessa natura di aprire a un altro mondo e ad altri immaginari. E come fai a proclamare una rivoluzione quando il mondo da abbattere e ridefinire è lo stesso che si riconosce come l’unico esistente?


 

Matrix Resurrections
Usa, 2021, 129'
Titolo originale:
Matrix Resurrections
Regia:
Lana Wachowski
Sceneggiatura:
Lana Wachowski, David Mitchell, Aleksandar Hemon
Fotografia:
John Toll, Daniele Massaccesi
Montaggio:
Joseph Jet Sally
Musica:
Johnny Klimek, Tom Tykwer
Cast:
Keanu Reeves, Carrie-Anne Moss, Yahya Abdul-Mateen II, Jessica Henwick, Jonathan Groff, Neil Patrick Harris, Priyanka Chopra, Christina Ricci, Jada Pinkett Smith, Lambert Wilson, Daniel Bernhardt, Telma Hopkins.
Produzione:
Warner Bros. Pictures, Village Roadshow Pictures, Venus Castina Productions
Distribuzione:
Warner Bros. Pictures

Diventato un famoso designer di videogiochi, Thomas Anderson è di nuovo nel mondo reale, ma è tormentato da sogni e visioni a cui non riesce a dare un senso. Nonostante non ricordi molto di quanto accadutogli in passato, compresa la donna che ha amato, Trinity, e che non riconosce dopo averla incontrata, Anderson si accorge che qualcosa non torna nella realtà che lo circonda. L'incontro con alcuni personaggi e la sospensione dell'assunzione della pillola blu che prende ogni giorno riporteranno Anderosn, cioè Neo, alla consapevolezza che ciò che lo circonda non è quel che sembra...

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