Małgorzata Szumowska, Michał Englert

Non cadrà più la neve

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La neve del titolo è la neve in quanto precipitazione atmosferica. Ma è anche la cenere nevosa di Chernobyl. L’una e l’altra coprono, attutiscono, sospendono. Il mondo cambia: e se è vero che tra pochi anni non ce ne sarà più, di neve (lo annuncia tetra una didascalia nel finale del film), il mondo non potrà più essere diverso. Cioè il mondo sarà destinato a rimanere sempre uguale, sempre uniforme. Sempre banale. Se non nevicherà più le case, le strade e le proporzioni che ci tornano utili perché comode resteranno identiche a sé: una natura morta. Che è quella di Non cadrà più la neve, un quartiere bene e isolato di una Polonia che dall’alto (e raramente i droni sono stati sfruttati nel cinema contemporaneo con tale potenza) sembra un cimitero. Le villette sono tutte uguali, e i residenti anche. Però. Qui lavora un massaggiatore ucraino, in esilio, in fuga, non si sa. Poco importa, è un fantasma.

Ma il film non è Teorema: è il suo contrario. E se si tratta di un’ode di morte, lo è in quanto canto dolente per spiriti soli. Il giovane e prestante fisioterapista non rompe gli equilibri, li compone e li ordina; non inquieta gli animi, li riconcilia con se stessi e con i propri defunti. Questo film conserva il dolore di uno Spoon River europeo, che guarda alla Storia in forma di memoria lontana e che osserva il presente laddove c’è più bisogno di conforto.

È un film umanissimo, benché talvolta contempli un’ironia vagamente cinica; è un film che raccoglie l’angoscia, e la fa sparire nella speranza (probabilmente un’illusione) che il domani sia migliore. E ancora innevato. E sparisce anche lui, il massaggiatore, lasciando tutti di stucco in una recita scolastica: sparisce dalla vita e sparisce del mondo, forse non è mai esistito, una visione massiccia eppure impercettibile. Per lui l’essere lì, l’esserci, l’essere dai suoi clienti e per loro non era un esercizio di prepotenza: era l’unica possibilità di recuperare una storia – la sua – e di determinare una volta per tutte le storie – le loro. Non c’è violenza, in Non cadrà più la neve, neppure laddove la potresti più aspettare (per esempio nella scena a casa dell’ex militare, che si dice litighi con tutti nel quartiere: ed è una scena brevissima ma clamorosa nel suo silenzio). C’è al contrario la magia, quella che ti sorprende perché non ne capisci il trucco; la magia di una nevicata fuori stagione e senza nessuna previsione, che toglie il paesaggio dal proprio conformismo.

Il 26 aprile 1986 in Unione Sovietica la neve entrò nel sangue di tutti e scelse per tutti un altro futuro; la neve di questo film di Małgorzata Szumowska in co-regia con il direttore della fotografia Michał Englert - un film affranto che mi ha conquistato con molta difficoltà e lentamente - è una neve meno letale e più “semplice”, perché lava via l’afflizione, e fa fare pace con i morti che ci riguardano.


 

Non cadrà più la neve
Polonia, Germania, 2020, 115'
Titolo originale:
Śniegu już nigdy nie będzie
Regia:
Małgorzata Szumowska, Michał Englert
Sceneggiatura:
Michał Englert, Małgorzata Szumowska
Fotografia:
Michał Englert
Montaggio:
Jaroslaw Kaminski, Agata Cierniak
Cast:
Alec Utgoff, Maja Ostaszewska, Agata Kulesza, Weronika Rosati, Katarzyna Figura, Andrzej Chyra, Łukasz Simlat
Produzione:
Lava Films, Match Factory Productions, Kino Świat, Mazowia Warsaw Film Fund, Di Factory, Bayerischer Rundfunk
Distribuzione:
I Wonder Pictures

Zenia è un uomo misterioso, con un lavoro che gli permette di fare l’ingresso in una comunità alto-borghese formata da persone facoltose e chiuse, che conducono un’esistenza priva di stimoli. Annoiate da tutto e apatiche, vedono nell’arrivo dell’uomo una novità salvifica. Ognuno di loro ha una storia che confida a Zenia, terapista del corpo e dell’anima. Un guru, forse un falso profeta, oppure più semplicemente un appiglio per chi non riesce a fare i conti con questa strana vita.

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