Guillermo del Toro, Mark Gustafson

Pinocchio di Guillermo del Toro

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Lo diciamo da tempo, ormai, su questa rivista: probabilmente mai come in questi anni il cinema sembra parlare del contesto che lo informa. In particolare, poi, l'animazione è stata anticipatrice di tale processo, e ora che il fenomeno è sotto gli occhi di tutti sta finalmente raccogliendo i consensi e lo spazio che si merita.

Se infatti il cinema è sempre più libero, ibrido, multiforme, privo di etichette accomodanti, lo si deve senza dubbio anche alla libertà che la tecnica animata ha offerto a molti suoi autori. Recentemente sono stati tanti i registi affermatisi nel live action che hanno deciso di prestarsi a questa modalità di racconto (e oltre ai vari Anderson, Burton, Spielberg possiamo comprendere serenamente anche James Cameron, che con la saga di Avatar sembra avere a che fare molto più con sagome e colori che attori in carne e ossa). L’amore di Guillermo del Toro nei confronti della stop motion (o dell’animazione tout court), non è di certo una novità. Vero è però che Pinocchio resta il suo esordio da regista in questo particolare filone e quindi può essere tranquillamente ricondotto alla nostra indagine.

Sono sufficienti i primi minuti di questo progetto per comprenderne la liberta creativa. Del Toro prende le distanze dal testo di Collodi, lo usa come spunto iniziale ma lavora al suo interno per indagarne nuovi orizzonti, nuove vie di fuga. Così, il suo burattino si muove nell’Italia minacciata dall’ascesa del fascismo, deve fare i conti con un papà che ha perso il suo vero figlio (chiamato Carlo) e soprattutto non dovrà avere tanto a che fare con fate turchine e creature magiche, quanto con streghe e demoni dell’aldilà. Insomma, il Pinocchio di del Toro è la sintesi perfetta di tutte le ossessioni e le ambizioni del cinema di questo autore. Si passa in un unico flusso di coscienza dalla passione verso la componente materica (il film gioca molto con il senso del tatto, risulta quasi tridimensionale nella sua componente più concreta e artigianale), fino all’amore per i mostri dal cuore d’oro (La forma dell’acqua), passando ovviamente per l’entusiasmo di uno spettacolo circense (La fiera delle illusioni), una storia magica intrecciata con la storia  (Il labirinto del fauno), la fascinazione verso l’atto laboratoriale della creazione (La spina del diavolo) e quello più grottesco di ingenti creature viventi capaci di inghiottire e distruggere tutto (Pacific Rim).

Il cineasta messicano non si prende quindi solo la licenza di reinterpretare il classico di Collodi, ma anche quella di portarlo in scena nella maniera a lui più congeniale. Anche perché, a proposito di libertà, in questo caso si interfaccia con una produzione (Netflix, ovviamente) che recentemente ha coccolato i suoi registi offrendo e promettendo loro assoluta carta bianca. La stessa dinamica verificatasi con Roma, The Irishman, Bardo, White Noise, È stata la mano di Dio, tutte opere che traboccano suggestioni e intuizioni, si verificano puntualmente anche in questo nuovo Pinocchio. E anche qui si avverte la mancanza di uno sguardo esterno, più obiettivo, in grado di arginare la vena creativa di chi è in cabina di regia ed evitare che possa finire per far straripare il film stesso.

Se quindi un lavoro di fino e ridimensionamento non avrebbe guastato, è anche vero che a differenza degli ultimi film tratti da Collodi (Garrone e Zemeckis) quello di del Toro sfrutta la libertà concessa per osare e rischiare, addentrandosi in zone oscure meno battute. Pinocchio rispecchia l’animo infantile e genuino di un regista che può permettersi di liberare il suo stesso protagonista: chi l’ha detto che il burattino debba necessariamente smaniare di diventare un bambino vero? Non può accettare serenamente la sua identità di marionetta con i fili?

Ecco che allora la riflessione meta cinematografica proposta da del Toro, che come un demiurgo si associa in più di un’inquadratura al volto di Geppetto, va oltre il semplice narrare le avventure di un pupazzo usando in scena dei veri e propri pupazzi di plastilina. Pinocchio è perfettamente calato nel suo tempo, se ne appropria e lo restituisce, in tutta la sua complessità e ambiguità, su uno schermo. Grande o piccolo che sia.


 

Pinocchio di Guillermo del Toro
Usa, Messico, 2022,
Titolo originale:
Guillermo del Toro's Pinocchio
Regia:
Guillermo del Toro, Mark Gustafson
Sceneggiatura:
Guillermo del Toro, Patrick McHale
Fotografia:
Frank Passingham
Montaggio:
Ken Schretzmann
Musica:
Alexandre Desplat
Produzione:
Netflix Animation, Jim Henson Productions, Pathé, ShadowMachine, Double Dare You Productions, Necropia Entertainment
Distribuzione:
Netflix

Geppetto, un vedovo falegname che vive nella grigia Italia fascista, costruisce una marionetta in onore del figlio perduto, Carlo: Pinocchio. Pinocchio prende vita grazie ad una fata della foresta e, per rendere il padre fiero di lui, intraprende un viaggio in compagnia di Sebastian, il grillo che viveva nel tronco da cui è stato ricavato.10

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