Garth Jennings

Sing

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Il mondo del cinema d’animazione è soggiogato da regole ferree e logiche di mercato più di quanto si possa immaginare. Da anni ormai (forse da sempre), la produzione di un “film per bambini” non può trascurare dettagli legati al marketing, ai gadget, ai giocattoli e qualsiasi altra merce di consumo annessa all’universo di riferimento. Probabilmente è anche per questi motivi che, per quanto riguarda i blockbuster, si fa sempre più fatica a imbattersi in opere che amano il rischio della sperimentazione: tutto sembra studiato a tavolino, calibrato al millimetro per non deludere le aspettative e sfruttare al meglio la forza economica del paratesto.

L’Illumination Entertainment non fa eccezione e, dopo il clamoroso successo dell’esordio con Cattivissimo Me, ha provato senza troppa fortuna a uscire dagli schemi con altri due titoli (Hop e Lorax – Il guardiano della foresta) per poi preferire rintanarsi nei più accomodanti e sicuri Cattivissimo Me 2 e Minions. Nel 2016 però, la casa statunitense ha dato vita a ben due prodotti abbastanza sorprendenti da questo punto di vista. Già, perché Pets – Vita da animali e il recentissimo Sing, sono film simili nelle loro intenzioni e ben consci dei propri limiti al punto di saperli sfruttare al meglio per risultare efficaci e vincenti.

Senza tralasciare le costrizioni commerciali di cui sopra (tutti i personaggi sono delle vere e proprie macchiette, facilmente spendibili individualmente e, non a caso, strettamente legati a un universo abbondantemente spremuto dalla rivale Disney con Zootropolis), Sing si configura sin dai primi minuti come un semplice e classico film d’animazione. Raccontando le gesta di un imprenditore teatrale sommerso dai debiti alle prese con un’ultima occasione (una gara di canto) per risollevare le sorti del suo stabile e riportarlo allo splendore di un tempo, l’opera scorre senza colpi di scena o svolte sorprendenti, in maniera del tutto prevedibile, dall’inizio alla fine.

Se questo potrebbe quindi sembrare un problema, o quanto meno un difetto da non trascurare, ciò che invece rende il tutto funzionale sono l’onestà e l’umiltà di cui il film si avvale. Sing lascia persino da parte la satira (e la conseguente analisi) nei confronti dei vari talent show e delle derive che a questi sono annesse (non ci sono stelle nascenti, non ci sono fama e gloria televisiva, non ci sono aspiranti cantanti in cerca di popolarità, non ci sono avidi autori televisivi) proprio per non avventurarsi in un campo di gioco che non gli compete.

Garth Jennings e Christophe Lourdelet preferiscono invece guardare a canovacci appartenenti al passato, quando pellicole del calibro de La danza delle luci (1933) o Modelle di lusso (1952) utilizzavano un semplice pretesto narrativo (il tribolato allestimento di uno show d’intrattenimento, non a caso presente anche in Sing) per deliziare il pubblico con numeri musicali di ogni sorta. Proprio in questa semplicità (narrativa e contenutistica) risiede la natura originaria del film. E allora non è un caso che la morale della storia venga suggerita, sul finale, tramite un esorto schietto e conciso su come affrontare le proprie difficoltà: «canta!».

Sing
Usa, 2016, 110'
Titolo originale:
Sing
Regia:
Garth Jennings
Sceneggiatura:
Garth Jennings
Montaggio:
Gregory Perler
Musica:
Joby Talbot
Produzione:
Illumination Entertainment, Universal Pictures
Distribuzione:
Universal Pictures

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