Wolfgang Fischer

Styx

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Lo Stige che dà il titolo al nuovo film di Wolfgang Fischer (What You Don’t See, 2009) è una metafora esposta ma non banale. Il fiume dell’odio della mitologia greco-romana che ostacola, insieme alla sua palude, l’accesso all’Oltretomba dal mondo dei vivi, stabilisce una linea di demarcazione, separa due realtà contrapposte. È la misura di una distanza imposta, quella che Rike (Susanne Wolff), paramedico di Colonia in viaggio per mare, si trova a dover onorare, contro qualsiasi logica, contro il buon senso di un agire spontaneamente altruistico.

Styx si divide idealmente in due parti. La prima, nel “mondo dei vivi”, si trasporta con un sentimento quasi romantico: una fusione panica con le forze della natura che genera un’esplosione di vita, di pura tensione positiva. La protagonista – in un breve preambolo narrativo a Colonia intenta a salvare la vita a una vittima di un’incidente stradale – è impegnata nei preparativi e nella partenza per un lungo viaggio in barca a vela di totale solitudine alla volta dell’isola di Ascensione, nell’Atlantico meridionale, paradiso terrestre al riparo dal mondo. Il suono del mare predomina, e il silenzio dell’uomo è interrotto solo da sporadiche comunicazioni radio, avvisi precauzionali sul maltempo e offerte di assistenza in caso di necessità. Fischer narra con un distacco documentaristico, con sostanziale impersonalità (campi totali e lunghi hanno forte rilevanza): attimi di un viaggio sereno, gravato d’improvviso da una forte tempesta che, nelle tenebre della notte, obbliga Rike a governare con mano sicura l’imbarcazione. Oscurità e confusione culminano in una rinnovata serenità che è solo apparenza, come se nella notte di burrasca si fosse discesi negli inferi. Rike è nell’anticamera dell’Abisso.

Nella seconda metà del viaggio, invece, il film getta uno sguardo sull’“altra riva”, quella dei morti: un mondo che tuttavia di ultraterreno non ha niente, dominato dall’assoluta finitezza dell’uomo dinnanzi alla fine. Guardando verso l’orizzonte, la donna scorge una imbarcazione alla deriva, stracolma di profughi che chiedono aiuto; avvisa via radio le autorità deputate al soccorso, che – assicurato l’intervento – le ordinano di non intromettersi, di non prestare aiuto, di attendere. Rike è quindi preda di un dilemma: non vedendo per ore giungere nessun aiuto, ha l’impulso di intervenire, ma è consapevole, oltre di dover onorare gli ordini, di non avere una imbarcazione adatta allo scopo, né ricovero per tutti. Mentre non può far altro che osservare molti disperati gettarsi in mare e affogare, riesce a trarre in salvo un giovane ragazzo, Kingsley (Gedion Oduor Wekesa): lo cura, lo convince che occorre attendere aiuto, affronta i suoi tentativi di tornare verso la barca alla deriva, per salvare parenti e conoscenti. Rike si sente responsabile, nel silenzio (radio) di chi volutamente ignora: è parte di una missione impossibile e di una inevitabile necessità al contempo. La parola – o meglio, il dialogo – ha qui maggior spazio e importanza: frammenti di discorso, ordini, tentativi di comunicazione, in una generale impossibilità di comprendersi l’un l’altro per volontà o per distanza (culturale e fisica). Fischer cambia registro, e si avvicina ai suoi personaggi, non si separa più dalla loro reale fisicità, dalla verità dei loro corpi sfiniti: ne coglie l’espressività, l’empatia, l’umanità istintiva contro la calcolata burocrazia cui sembrano non potersi sottrarre.

Chi si sottrae? Nella Commedia dantesca, nelle fangose acque dello Stige stanno, oltre ai peccatori d’ira, anche gli accidiosi. Lo Stige di Fischer assume anche un’altra sfumatura, che investe proprio l’incapacità (o la lucidissima negligenza) di agire: quella della protagonista, realmente capace di prestare soccorso ma impossibilitata dalle imposizioni di un’autorità preposta, la stessa autorità che, al contrario obbligata a intervenire, non si fa vedere, non appronta un recupero tempestivo dei dispersi in mare. Ancora un’opposizione: la scelta da operare in nome della responsabilità, tutta personale, di una donna sola in mezzo all’Oceano, cosciente della necessità impellente così come del rispetto dell’autorità; e, per quanto riguarda i soccorsi, il pericoloso discrimine, di cui nemmeno lo spettatore riesce a cogliere il contorno, fra lentezze burocratico-organizzative e programmatico diniego.

Perché si dia finalmente un corso agli eventi, scuotendo il fatale immobilismo, occorre alla fine accantonare almeno una virtù: attraversare finalmente le acque dello Stige per riaffermare la propria umanità individuale. Ma non senza conseguenze, e non senza avere l’impressione di essersi attardati troppo: sottratta al pericolo, Rike deve rispondere del suo agire davanti alla legge; sotto shock, fissa il mare, e sente accavallarsi alla radio numerose richieste di soccorso. Varcato lo Stige, giunta sulla sponda dell’Oltretomba, volta lo sguardo indietro, aspettandosi di ritrovare la vita: ma si accorge di non cogliere alcuna più alcuna distinzione fra una riva e l’altra.

Styx
Germania, Austria, 2018, 94'
Titolo originale:
Styx
Regia:
Wolfgang Fischer
Sceneggiatura:
Wolfgang Fischer
Fotografia:
Benedict Neuenfels
Montaggio:
Monika Willi
Cast:
Alexander Beyer, Anika Menger, Felicity Babao, Gedion Oduor Wekesa, Inga Birkenfeld, Susanne Wolff
Produzione:
Schiwago Film, Small Island Films, Twenty13 Productions
Distribuzione:
Cineclub Internazionale

La dottoressa tedesca Rike, quarantenne e appassionata velista, parte, solitaria, da Gibilterra con la sua barca modernissima e attrezzatissima alla volta dell’isola di Ascensione, un paradiso in terra in mezzo all’Oceano Atlantico, fra l’Africa e il Sudamerica. Esperta e protetta dalla tecnologia, Rike si sa destreggiare con grande perizia, neanche una tempesta di quelle forza 9 le fa perdere il controllo. Dopo una tempesta si trova non lontano di un battello alla deriva pieno di persone che hanno urgente bisogno di aiuto… Dopo reiterati S.O.S. la guardia costiera ordina a Rike di non immischiarsi perché non ha i mezzi per essere d’aiuto, ma il suo senso di responsabilità la tormenta. Se ne andrà sapendo che delle persone perderanno la vita in mare? 

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