Roberto Andò

Una storia senza nome

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Storie senza nome; opere senza autore; cinema senza una spina dorsale. Un cinema senza, per parafrasare il saggio di Voghera.

Eppure non è uno sprovveduto, Roberto Andò, classe 1959, divenuto piuttosto noto al pubblico con i suoi due ultimi film, entrambi con la presenza (anti)iconica di Toni Servillo a reggere gran parte dell’architettura, sempre con comprimari di qualità: Viva la libertà (2013), mai tanto attuale quanto oggi che la crisi della sinistra è più che mai conclamata, e ne viene decretata la schizofrenia) e Le confessioni (2016). Però questa volta l’architettura narrativa, più pasticciata che nei due film precedenti (ad Angelo Pasquini si affianca, alla sceneggiatura, Giacomo Bendotti), si accascia sul carattere fragile della protagonista, Valeria (Micaela Ramazzotti), segretaria di uno studio di produzione e ghost writer dello sceneggiatore-impostore Alessandro Pes, interpretato da Alessandro Gassman, al quale non solo viene concesso di essere più fiacco che mai, ma anche di tentare di sollecitare la risata o non si sa quale altra reazione, quando cita esplicitamente, con tono trombone, personaggi indissolubilmente legati al padre Vittorio o alla storia dl cinema italiano.

Non aiuta, nell’insieme, Laura Morante, della quale si sono da sempre ampiamente sopravvalutate le doti, e che regala almeno un paio di picchi di comicità involontaria. Emerge per naturale talento, ma forse non basta, Renato Carpentieri, che è Alberto, un poliziotto in pensione che fornisce a Valeria una serie di informazioni e spunti per il nuovo script da vendere a Pes: una catena di narrazioni/informazioni che moltiplica il numero degli autori, dei padri putativi. La storia che diventa una trappola assassina per i suoi propri estensori.

La storia che non è più racconto politico moderatamente satirico o apologo metafisico, magari qua e là eccessivamente sentenzioso, ma racconto ambiguo dalle velleità hitchcockiane (autore con cui Andò flirta un po’ da sempre), che però purtroppo, sfiorando in maniera meno sfumata che nei film precedenti la cronaca, e proprio per l’assenza di quei pilastri attoriali che li reggevano, qui degenera troppo sovente nel grottesco, se non nella farsa.

Peccato, perché la storia della Natività con i santi Lorenzo e Francesco d'Assisi di Caravaggio, rubata dall’oratorio di San Lorenzo a Palermo una notte del 1969, è nota e rimossa al tempo stesso; è un vuoto tangibile su cui si regge una delle lacerazioni più difficili da digerire della nostra Storia: un oggetto simbolicamente potente del patrimonio nazionale deliberatamente sottratto, dalla mafia, da un luogo pubblico, forse anche in presenza di testimoni. Qualcosa che si apparenta in maniera perversa alla distruzione dei monumenti preislamici da parte dell’Isis. Le congetture più disparate si sono susseguite nel corso dei decenni, varie piste ricordate spesso dai giornali e dai notiziari, dalla distruzione del dipinto divorato dai maiali (e la scena dei simpatici suini che zampettano su una robusta e impermeabile stampa al plotter su tela cerata non fa certo onore agli sforzi della produzione) al tentativo piuttosto improbabile di vendere la pala, ritagliata in più pezzi, sul mercato antiquario svizzero.

La scena, patetica, dove il connoisseur britannico (che ricorda, a chi bazzica l’ambiente, almeno un paio di eminenti esperti di cui si è talvolta sospettato che sapessero) fa una stima monetaria implausibile, è il momento in cui tutta la costruzione narrativa perde definitivamente di interesse. Un prezzo, in euro, sparato a caso, senza nemmeno l’esitazione di chi dovrebbe per certo sapere non solo che il valore di quell’opera, diverso dal suo prezzo, è difficilmente stimabile, ma che per ragioni perfino banali, un capolavoro di quella fatta e notorietà non ha un mercato: lo sanno bene, cambiate geografie e tipologie dei manufatti, Gael Garcia Bernal e i suoi sodali nel bellissimo Museo di Alonso Ruizpalacios.

Non fosse altro che, proprio ne Le confessioni, il personaggio interpretato da Daniel Auteuil racconta la storia del Cézanne non repertoriato, soffermandosi sul valore effettivo dell’arte, su cosa compriamo veramente quando spendiamo cifre enormi. La storiella della trattativa nei palazzi romani, lo scambio simbolico per rilanciare lo Stato in crisi, perdono il mordente che avrebbero potuto avere con dei presupposti più sostanziati.

Peccato, perché sono elementi della storia che non si distaccano così tanto da fatti realmente accaduti nel nostro recente passato, come l’installazione di una copia del dipinto, sponsorizzata da Sky arte, installata al posto dell’originale con la benedizione del presidente Mattarella e di altre autorità, nel 2015. Peccato, perché Leonardo Sciascia, che fu amico e mentore di Andò, attorno al dipinto di Caravaggio scrisse, nel 1989, un bellissimo racconto che si legge d’un fiato, Una storia semplice, tutto costruito sulla reticenza e sullo humour nero.

Una storia senza nome finisce per essere solo una storia pasticciata e greve, in netto contrasto con la vitalità barocca degli stucchi di Serpotta, che si librano leggeri e nei titoli di coda rimasti a custodire, non senza malizia, il mistero di un altare lasciato vuoto.

Una storia senza nome
Italia, Francia, 2018, 110'
Regia:
Roberto Andò
Sceneggiatura:
Angelo Pasquini, Giacomo Bendotti, Roberto Andò
Fotografia:
Maurizio Calvesi
Montaggio:
Esmeralda Calabria
Musica:
Giovanni Carluccio
Cast:
Alessandro Gassmann, Jerzy Skolimowski, Laura Morante, Micaela Ramazzotti, Renato Carpentieri
Produzione:
Agat Film e Cie-Parigi, Bibi Film, Rai CInema
Distribuzione:
01 Distribution

Valeria, giovane segretaria di un produttore cinematografico, vive appartata, sullo stesso pianerottolo della madre, e scrive in incognito per uno sceneggiatore di successo, Alessandro Pes. Un giorno la donna viene avvicinata da un misterioso poliziotto in pensione che le vuole raccontare una storia criminale. Valeria è guardinga ma lo ascolta affascinata. Quando torna a casa usa quello che ha udito per scrivere un soggetto: sarà la prossima sceneggiatura di Alessandro Pes, di cui i produttori attendono da tempo la consegna. Il soggetto piace molto, al punto che a finanziare il film entrano anche dei gruppi stranieri e per dirigerlo viene ingaggiato un regista americano un po’ anziano ma di culto. Tuttavia quel soggetto si rivela pericoloso: la Storia senza nome racconta, infatti, il misterioso furto di un celebre quadro di Caravaggio, La Natività, avvenuto nel 1969 a Palermo per mano della mafia. Le conseguenze non tarderanno ad arrivare e Valeria si troverà ad assumere un ruolo per lei insolito.

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