Gianni Amelio

Vieni avanti cretino

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C’è un grande equivoco alla base del nuovo film di Amelio, L’intrepido: scambiare un cretino per un buono.

Antonio, il protagonista (Antonio Albanese), è solo questo, un cretino, in uno dei sensi a cui la complessa etimologia del termine pare rinviare: uno assorto nella contemplazione di cose “celesti” o, più semplicemente, che non hanno a che fare con la realtà. E questo è il nodo irrisolto e moralmente insopportabile del film. Sì, moralmente: perché Antonio, da buon cretino, è destinato a scivolare da un ruolo a un altro, senza incidere minimamente sulla realtà: fa tutto e non fa niente.

Aspetta, contempla, dice cose buone e perlopiù false (ma nel mondo dei “celesti” forse vere), e le sue parole, come i suoi gesti, si dissolvono inavvertite, un indifferente rimpiazzo della realtà. È peggio di un moralista, e lontano anni luce da un sano immoralista: non ha alcuna visione del mondo, se non cretinamente celestiale, e, di conseguenza, nessuna possibilità di cambiarlo.

Del resto, mentre attorno a lui si svolge un raduno sindacale, Antonio gonfia senza successo una serie di palloncini: come ogni buon cretino, non sa neppure distinguere ciò che è importante da ciò che non lo è, e quindi ciò per cui vale la pena usare i polmoni (Antonio non sa gridare). Come ogni buon cretino, è anche un qualunquista, incapace, anche solo per gioco, di scegliere con chi andare a letto per salvarsi la vita – tra Brad Pitt, Obama, Woody Allen, uno vale l’altro; il piacere (e il dolore) è un altro orizzonte di intelligenza e sensibilità che non gli appartiene. Come ogni buon cretino, infine, vede il mondo non per quello che è, ma per quello che crede che sia: così, non riesce neppure a intuire che l’amica (Livia Rossi, da rispedire in fretta a un corso di recitazione) sta per suicidarsi. Riesce solo a incoraggiarla per frasi fatte e buonismo incolore. Da buon cretino, non può capire niente.

Ora, in un film che non si lascia scappare niente dei “problemi” della società contemporanea – non manca neppure il pedofilo – l’Antonio disegnato da Amelio, con la sua mitezza idiota e il suo francescanesimo malinteso, è esattamente ciò di cui non c’è bisogno, nella Milano sfatta del film, come in qualsiasi altro luogo. Antonio è uno specchio che riflette storture e malesseri, nient’altro; ma per dir questo, potevano bastare le belle inquadrature di Bigazzi (o un mezz’ora di telegiornale). E il riferimento a Charlot è un altro malinteso: ogni tanto, perfino lui si arrabbiava: magari non concludeva niente, ma almeno era percorso da un moto di indignazione. Parola, questa, di cui un cretino come Antonio ignora completamente il significato. Mentre la gente si indigna, lui gonfia palloncini. 

L'intrepido
Italia, 2013, 104'
Titolo originale:
id.
Regia:
Gianni Amelio
Sceneggiatura:
Gianni Amelio, Davide Lantieri
Fotografia:
Luca Bigazzi
Montaggio:
Simona Paggi
Musica:
Franco Piersanti
Cast:
Antonio Albanese, Livia Rossi, Gabriele Rendina, Alfonso Santagata, Sandra Ceccarelli
Produzione:
Palomar, Rai CInema
Distribuzione:
01

Antonio di lavoro fa il  “rimpiazzo”, prende cioè, anche solo per qualche ora, il posto di chi si assenta, per ragioni più o meno serie, dalla propria occupazione ufficiale. Si accontenta di poco ma tutto sommato è felice della vita che conduce, anche se bisogna tenersi in forma, non lasciarsi andare mai... Antonio ha un figlio di vent’anni, che suona il sax come un dio e di lavoro fa l’artista. E poi c'è Lucia, inquieta e guardinga, che nasconde un segreto dietro la sua voglia di farsi avanti nella vita.

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