Sarah Polley

Women Talking - Il diritto di scegliere

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“Comunichiamo solo con donne”, si concludeva con questa frase il Manifesto di Rivolta Femminile pubblicato nel 1970. Ed è su questo stesso principio che si basa Women Talking, testo programmatico ma anche racconto epico di una comunità in rivolta. Sarah Polley, accogliendo l’idea di Frances McDormand (anche produttrice del film e che vediamo in una piccola parte), si immerge in una comunità di mennoniti del nord America; è il 2010 ma nessuno lo sa, né noi che lo capiamo solo quando un furgone passa nelle vicinanze per annunciare il censimento squarciando improvvisamente con una piccolissima traccia di modernità quel mondo fuori dal tempo, né loro che da quella stessa modernità si proteggono arroccandosi nella fede e nel rifiuto di ciò che sta fuori. Quando emerge il trauma che le donne subiscono da tempo immemore (lo stupro sistematico perpetrato ai loro danni dagli uomini delle comunità che le narcotizzano per usar loro violenza), gli equilibri di un sistema che perpetua regole che ignorano il tempo che avanza, saltano improvvisamente. In assenza degli uomini le donne decidono allora, per la prima volta, di riunirsi e provare a determinare il loro destino.

Polley sembra formalmente guardare alla lezione del cinema di Carlos Reygadas, un uomo capace di problematizzare attraverso le immagini le questioni dell’esistenza, ivi comprese le questioni di genere. Non solo per l’ambientazione dentro la stessa comunità chiusa al quale il regista messicano aveva dedicato Luz Silenciosa di cui era protagonista Miriam Toews (l’autrice del libro ispirato a una storia vera da cui Polley trae la sceneggiatura candidata all’Oscar), ma anche e soprattutto per i tempi e i modi di un cinema ambizioso che intende indagare, anche attraverso l’afflato lirico della regia, questioni come la verità, la violenza, la fede, il diritto di esprimersi, la parola.

È proprio nel suo concentrarsi sulla forza della parola come gesto seminale di autocoscienza che Women Talking diventa un manifesto. "Le donne sono persuase fin dall’infanzia a non prendere decisioni e a dipendere da persona ‘capace’ e ‘responsabile’: il padre, il marito, il fratello…”, recitava un altro dei punti del già citato Manifesto di Rivolta femminile, e l’autorizzarsi a prendere una decisione diventa il primo gesto rivoltoso delle donne della comunità. Accettare e perdonare le violenze subite come la fede imporrebbe, restare e lottare per provare a cambiare l’ordine costituito, oppure andarsene tutte insieme ripensandosi come soggetto collettivo secondo un nuovo modello? È questa la decisione che devono prendere ma, prima ancora, devono elaborare la possibilità di farlo ed è il processo stesso di presa di coscienza attraverso la parola e il confronto che il film racconta.

Donne che parlano con donne. Non c’è in effetti molto altro nel film che si costruisce tutto intorno all’opposizione tra lo spazio circoscritto e buio del fienile dove si radunano per decidere cosa fare delle loro vite, e quello indefinito e aperto della campagna che le circonda, dove la luce e l’erba si distendono, dove i bambini corrono, dove una sola piccola infantile voce fuori campo si sostituisce al vociare, al sentenziare, al discutere, al ridere, al piangere, allo scontrarsi, al confrontarsi delle voci del gruppo. È quella vocina a rimettere tutto in prospettiva, togliendo il momento dal solo qui e ora per dargli respiro e spingere le conseguenze della scelta verso il futuro.

Donne che parlano con donne. È d’altronde nel suo darsi così esplicito e letterale che si concretizza la programmaticità sulla quale Polley opera un lavoro di messa in scena che oppone il rigore dell’interno alla mobilità con cui inquadra l’esterno. Per far scivolare le singole personalità dentro all’idea di comunità, la regista costruisce infatti lo spazio del confronto confidando a ognuna un posto preciso. Le singole performance delle attrici (Rooney Mara, Claire Foy, Jessie Buckley su tutte) si concentrano sulle sfumature dell’uso della parola per creare psicologie differenti nonostante il vissuto comune; così riescono a conservare le proprie specificità pur facendole confluire in un impianto unitario: come se la comunione di intenti fosse capace di ricondurre, non senza spigolature e difficoltà di adattamento, le individualità all’interno del nuovo gruppo sociale che prova ad autodeterminarsi. Ed è in questo far assorbire dal senso di collettività le singole voci, in questo provare a dare spazio alle dissonanze per riportarle all’interno di un quadro condiviso che Women Talking si fa manifesto.

Donne che parlano con donne dunque e che parlando cercano la via per diventare soggetti, agenti, per essere e pensare in modo indipendente e per decidere. Donne che parlano di donne e che ottengono ben due candidature all’Oscar (miglior film oltre alla migliore sceneggiatura non originale). Mentre l’ipotesi di un modello maschile diverso si profila nell’unico maschio, il professore (Ben Whishaw) dolorosamente relegato al ruolo di scriba, in posizione marginale eppure caricato della responsabilità di un compito fondamentale: provare a formare una nuova generazione di maschi capaci di andare oltre il sopruso e la prevaricazione.


 

Women Talking - Il diritto di scegliere
Stati Uniti, 2022, 104'
Titolo originale:
Women Talking
Regia:
Sarah Polley
Sceneggiatura:
Sarah Polley
Fotografia:
Luc Montpellier
Montaggio:
Christopher Donaldson, Roslyn Kalloo
Musica:
Hildur Guðnadóttir
Cast:
Rooney Mara, Judith Ivey, Emily Mitchell, Kate Hallett, Liv McNeil, Claire Foy, Sheila McCarthy, Jessie Buckley, Michelle McLeod, Kira Guloien, Shayla Brown, Frances McDormand
Produzione:
Hear/Say Productions, Plan B Entertainment
Distribuzione:
Eagle Pictures

Un gruppo di donne di una colonia religiosa scopre un segreto scioccante: per anni gli uomini della comunità le hanno drogate e poi violentate. Venute a conoscenza della verità, le donne discutono della loro drammatica condizione e dovranno decidere se restare e combattere o andare via.

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