Marco Tullio Giordana

Yara

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Il sintomo crescente della maturità artistica di Marco Tullio Giordana, intellettuale di lungo corso e cineasta competente sul piano storico-politico come pochi nel panorama italiano, è la progressiva rarefazione e concentrazione stilistica. Uno stile, il suo, al servizio di un discorso aperto allo spettatore, che solo chi non ne coglie la mirata essenzialità, non avendo gli strumenti per comprendere quanto il linguaggio cinematografico debba all’istanza di realtà, può ancora continuare a scambiare per resa incondizionata ad un piatto standard televisivo. 

Yara è un ulteriore, prezioso e inequivocabile giro di vite di un progetto civile e culturale, dal forte tratto filmico, che trascende ogni volta il nuovo caso e si riallaccia agli altri pregressi. Giordana insomma, film dopo film, allarga e infittisce una rete conoscitiva che rende “italiano” e dunque esemplare ed estendibile ogni specifico “delitto” (etimologicamente inteso soprattutto come un “lasciare indietro” o “venir meno” a un dovere, aggiungeremmo di verità, quindi una “mancanza” in questo senso “colpevole” verso gli altri). Da quando l’autore ha individuato come titolo paradigmatico Pasolini, un delitto italiano, ha intrapreso una strada di consapevole ricerca politico-indiziaria che si traduce ogni volta in conferma della matrice nazionale di ogni pratica delittuosa perpetrata nei confronti di categorie di persone vive: dai poeti agli attori, dai militanti ai testimoni di giustizia, dai migranti alle donne, da chi denuncia o contesta un paese che si vorrebbe senza mafie e diktat politici, sono tutte figure emblematicamente “giovani” tutte, non solo anagraficamente, quelle che Giordana cerca, e torna a individuare, complice un nome evocativo. Cioè quello che rende anche stavolta il titolo stesso Yara, cioè “farfalla”, come Lea, nome e pronome a un tempo (“lei”), quindi l’allusivo Nome di donna, il bandolo della matassa aggiornato all’oggi, quindi all’intreccio di dolore reale, di un nucleo familiare ferito, e turpe investimento di una classe politica che cerca nemici, colpevoli e capri espiatori possibilmente dove è più facile attingere per motivi di razzismo, sessismo e discriminazione ad ampio spettro. 

Yara lo dice senza infingimenti ed equivoci. Ossia lontano da polemiche costruite su misura per non accorgersi del peso specifico di una diuturna linea di pensiero che si traduce in immagini in movimento. Significativa in tal senso quella inaugurale del modellino aereo che si alza in volo e cadendo, accidentalmente, precipita e scopre la scena del crimine (in accezione ampia del “delitto”, quindi del “castigo”). In altre parole, chi vede Yara rivede e connette (in senso logico, cinefilo e civile) i riferimenti sparsi a I cento passiLa meglio gioventùQuando sei nato non puoi più nascondertiLeaNome di donna e Due soldati, tanto per citare quelli più evidenti (sebbene tutta la filmografia di Giordana sia chiamata in causa). E nel fare questo un certo tipo di spettatore avvertito comprende come lo stile sia il sintomo di una volontà ferma di dire senza cedere al calligrafismo, privilegiando nel nitore del dire lo spazio asciutto delle inquadrature pulite, austere, semplici. E offrire all’occorrenza, non nel senso epidermico del giallo comune, soggettive invece sdoppiate di un criminale nell’ombra il quale, non visto mentre vede, restituisce allo spettatore il senso sgradevole di responsabilità di chi assiste e non agisce contro. 

Yara fa sentire complice chi guarda: complice più o meno involontario del dispositivo filmico, che rimanda al sistema mediatico; complice a tutti i livelli, di un “femminicidio” nonché “giovanicidio” dichiaratamente molto “italiano”. La prova punitiva inconfutabile del DNA in ambito processuale, proprio per le ragioni politico-indiziare di cui sopra, dimostra nella svolta probatoria sul fronte processuale di Yara che è un film, quindi un’opera d’arte autonoma, come la compagine femminile composta dalla vittima, dalla madre della vittima, dal pubblico ministero, dalla ricercatrice senza contratto, dalla giudice e per giunta dalla moglie allibita del reo non confesso, costituisca anche sul piano tecnico-scientifico l’eccellenza della “meglio società” contemporanea in progress.


 

Yara
Italia, 2021, 96'
Regia:
Marco Tullio Giordana
Sceneggiatura:
Graziano Diana, Giacomo Martelli
Fotografia:
Roberto Forza
Montaggio:
Francesca Calvelli
Cast:
Isabella Ragonese, Alessio Boni, Thomas Trabacchi, Sandra Toffolatti, Roberto Zibetti, Mario Pirrello, Miro Landoni, Andrea Bruschi.
Produzione:
Netflix
Distribuzione:
Netflix

La sera del 26 novembre 2010 la ginnasta tredicenne Yara Gambirasio non fa ritorno a casa dalla palestra in cui si era allenata. Preoccupata, la famiglia allerta i carabinieri e poco dopo partono le indagini, i sospetti, un arresto sbagliato e un caso mediatico di grandi proporzioni. Tre mesi dopo la scomparsa arriva la svolta del ritrovamento del corpo di Yara abbandonato in un campo. Chi ha ucciso Yara?

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