Il giorno in cui Hawkeye Pierce incontrò John Trapper McIntyre nacque (purtroppo per un solo film) una delle coppie comiche più affiatate e affascinanti degli anni 70: sexy a modo loro, infagottati dentro un eskimo militare, o avvolti in un camice medico schizzato di sangue, o azzimati in due perfette (e anacronistiche) tenute da golfisti, una gialla e una rossa, su un lindo green giapponese a due passi dalla “macelleria” coreana, i due chirurghi del Mobile Army Surgical Hospital, l’ospedale militare da campo attivo nella guerra di Corea all’inizio degli anni 50, sono maestri nello scambiarsi occhiate, scherzi, battute, ragazze, doppi sensi, arruffato e sornione Elliott Gould, mefistofelico e provocatorio Donald Sutherland. Erano entrambi insoliti (come la maggior parte degli attori che divennero star tra fine 60 e fine 70), inediti, un po’ stazzonati, molto ribelli e sommamente ironici. Il film, lo sappiamo, era M. A. S. H., capolavoro antimilitarista, sboccatissimo, eccentrico e del tutto antitradizionale di Robert Altman, che in Italia non fu capito ma in Francia sì, vinse una Palma d’oro e diverse nomination, e ci vollero diversi anni (e circa una decina di film di Altman) prima che ci decidessimo ad ammettere che forse sì quella era la maniera giusta per affrontare una schifezza totale come la guerra, qualsiasi guerra, per demolirne ogni eventuale “aura” ed evitare così la creazione di miti, falsi miti, antimiti. Perché poi alla fine l’eroe e l’antieroe sono la stessa cosa (come già aveva testimoniato qualche anno prima Sutherland nella parte, piccola, del tardo Vernon Pinkley, uno dei relitti che compongono la Sporca dozzina di Aldrich), per qualcuno devi pur fare il tifo e così finisce che accetti e giustifichi tutto quell’orrore. Appunto, l’orrore…. Ogni autore cerca di farci i conti alla sua maniera, per tenerlo a bada. E Altman, che tra i tanti talenti aveva anche quello impagabile del sense of humour, lui che soffrì tanto sulla fine del West e del noir e dell’America come era stata sognata, sulla guerra invece spalancò subito il baratro ribelle della risata.
Anzi, la risataccia, molto complice e terragna, nella quale si rivelarono maestri, appunto, Gould e Sutherland. Che, siccome non lo conoscevano e non avevano ancora capito il genio di quello stravagante autore, pare facessero parecchio i fighetti sul set. Eppure lui li manovrò, insieme a tutti gli altri volti e corpi che deflagravano dalle sue inquadrature. Poi Gould si ricredette e divenne un “altmaniano” doc, mentre purtroppo Sutherland non lavorò mai più con lui. Ma divenne un attore molto amato da molti autori, probabilmente perché era insieme ingenuo e inquietante, perché dall’indiscutibile temperamento drammatico trapelava sardonica la pulsione ironica, perché aveva quella bocca cattiva, piuttosto perversa e sexy (ereditata dal figlio Kiefer) contraddetta dalla limpidezza brillante e a volte disarmante degli occhi azzurri. Fu tanti personaggi, dal pacato Klute innamorato della sua squillo al luciferino Coriolanus dei giochi mortali, compresi Casanova, Attila e due padri in cerca dei figli perduti in due film notevoli (A Venezia un dicembre rosso shocking di Roeg e Gente comune di Redford). Eppure a tutti viene subito in mente “Occhio di falco” Pierce: anche se Altman è un grande colpevolmente dimenticato, tuttavia molti suoi personaggi, talvolta fulminei, sono stampati nell’immaginario collettivo, dallo stropicciato Philip Marlowe di Elliott Gould al pistolero un po’ fanfarone John McCabe di Warren Beatty. E quella ragazza lunga come un trampoliere, con gli occhi rotondi e tanti denti, che prima di essere la mamma spaventata e coraggiosa di Shining era stata tante ragazze un po’ svaporate di Altman, la moglie del West comprata per posta nei Compari, la groupie con tanti capelli afro di Nashville, la guida dell’astrodomo, e soprattutto Keechie, tenerissima donna del bandito in Gang, e Millie, la ciarliera fanciulla in giallo di Tre donne. E Olive Oyl, naturalmente, per la quale era nata: Shelley Duvall, uno dei tanti, preziosi frammenti altmaniani.