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Sarà una risata… La Francia si prende in giro nella trilogia di OSS 117

La Francia si prende in giro nella trilogia di OSS 117, in sala con I Wonder

Ma tu si’ guaglione!…

Nel primo film di Hazanavicius la spia è catapultata in un Medio Oriente al crepuscolo del colonialismo, alle prese con neonazisti, fondamentalisti e nazionalisti arabi: incarnazione demente dell’orientalismo descritto da Eward Said, all’alba va a zittire un muezzin che non lo fa dormire, consegna in giro santini del presidente della Francia, e soprattutto spande un maschilismo demente a ogni occasione. È proprio il machismo la chiave di volta: la sua attitudine di seduttore a volte funziona, ma più spesso lascia sgomente le donne (sue basite aiutanti/antagoniste), e dall’altro canto emergono flashback sessualmente ambigui e dicerie sui suoi rapporti con un amico e collega. Fondamentale per la riuscita è la recitazione grottesca di Jean Dujardin, che sbatte velocemente le palpebre, alza virtuosisticamente le sopracciglia nella parodia dello charme, arriccia il naso con la stizza dell’europeo fuori posto, si ferma perplesso e ottuso a guardare in basso, e mette in opera una fisicità da cartone animato (memorabile la scena in cui, dovendo esibirsi in un brano di musica araba, canta e balla una versione in gramelot di Guaglione).

Il film successivo, ambientato nel 1967, può dispiegare al meglio la patina vintage, ed è anche il più divertente della serie. Tra split screen, bossa nova jazz e hippie, OSS 117 si muove ancor più in un immaginario fatto di media, e la sua satira è ancora più precisa. Messo a collaborare con un’agente donna del Mossad alla ricerca di un criminale nazista, dà sfogo alla propria misoginia e a un profluvio di gaffe antisemite (ma, a differenza del nostro Checco Zalone, che per certi versi può essergli avvicinato, lo spettatore non riesce mai davvero a rispecchiarsi in lui). Anche la satira si fa più precisa: questo paese è in miseria a causa della dittatura, le dice la collega. OSS ribatte con sufficienza: «Lei è tanto carina, Dolores, ma mi risparmi le analisi politiche. Lo sa, almeno, cos’è una dittatura? Una dittatura è quando le persone sono comuniste, hanno freddo, portano cappelli grigi e stivali con le zip. Questa è una dittatura»; «D’accordo», ribatte la ragazza «e allora come chiama un paese in cui il presidente è un militare con poteri assoluti, e c’è una polizia segreta, una sola emittente televisiva e l’informazione controllata dallo Stato?»; «La chiamo Francia, signorina. La Francia del generale De Gaulle», risponde lui con orgoglio. Alla fine, dopo che OSS 117 avrà passato altre disavventure che mettono in crisi la sua virilità, si scoprirà che tutto è inutile perché anche il suo capo era un ex collaborazionista. E poco prima, insieme a una citazione da Intrigo internazionale, l’ebreo Hazanavicius, a mostrare la completa indifferenza di senso del passato nel pop, farà recitare al cattivo nazista del film il monologo del Mercante di Venezia, ma sostituendo la parola “nazista” alla parola “ebreo”: «Dietro un nazista, c’è anche un uomo, un uomo come tutti gli altri. Non ha forse occhi, un nazista? Non ha delle mani? Se ci pungete, non sanguiniamo? E se ci fate il solletico, non ridiamo?».

Ciao maschio

Agente speciale 117 al servizio della Repubblica – Allarme rosso in Africa nera, che arriva molti anni dopo, chiarisce il carattere di archeologia della virilità dei film precedenti. Siamo durante le elezioni presidenziale del 1981 vinte da Mitterand (che OSS, ovviamente, odia). Non è forse un caso, viene in mente, che le avventure dell’agente abbiano sempre luogo alla vigilia di un cambiamento: in Medio Oriente nel 1955 subito prima della crisi di Suez, poi nel 1967 coi primi contestatori, e al momento della fine simbolica della Francia gaullista. «Non sono contro la modernità. È solo che non funziona», dice OSS a un certo punto. E stavolta il tema è il suo essere ormai fuori dal tempo. Il film, ambientato in un decennio visivamente meno spendibile, è meno vintage, e la critica del machismo più centrale. Siamo in Africa nera, e al centro c’è la rivalità con una spia più giovane. Un po’ come in Skyfall ma, a differenza che nel film di Mendes, qui non si parteggia per nessuno dei due: entrambi i contendenti sono orrendi. In più il povero OSS 117 qui diventa impotente, messo a confronto con un maschio più giovane e più attivo. Il film infierisce senza pietà: davanti alle sue défaillance, la bella andrà a letto col collega e rivale (e i due si ritrovano la mattina nell’appartamento; «Come hai dormito?», gli chiede il giovane; «Come un bambino», risponde lui facendo l’indifferente «E tu?»; «Come un uomo», risponde, mentre dalla stanza da letto esce la ragazza). Nel momento in cui visualizza il rapporto del ragazzo con la donna, sul più bello si trova nella fantasticheria al posto di lei, in una parodistica visualizzazione del desiderio triangolare di cui scrive René Girard. Infine, ritroverà la virilità in un montaggio alternato con immagini patriottiche, pop, trash (De Gaulle, la torre Eiffel, Brigitte Bardot, Emmanuelle, dei pupazzi di una trasmissione tv per bambini). Parallelamente, il film torna a ricordare perfidamente le macchie più nere della storia francese: nel primo episodio era il colonialismo, nel secondo il collaborazionismo, nel terzo più precisamente ancora i doni dei dittatori africani (nella realtà storica si trattava di Bokassa) a Giscard d’Estaing.

OSS 117, insomma, di film in film si avvicina a noi, alla Francia e all’Europa di oggi, e rende sempre più chiaro che il suo umorismo riguarda non semplicemente il cinema e il passato, ma il cinema e il passato come buffi demistificatori del nostro presente.