CINEFORUM / 518

Il paese dei balocchi?

di Adriano Piccardi

I protagonisti di entrambi i film non costituiscono in sé modelli o simboli o capri espiatori di alcunché. Qui sta la forza dei due cineasti. Attraverso differenti idee di messa in scena e scelte di registro narrativo, entrambi ci dicono che quanto ci vanno mostrando ci ri-guarda: noi facciamo parte a tutti gli effetti del meccanismo disumano che ha generato i “mostri” in azione sullo schermo, al punto che a sua volta vi siamo e ne siamo contemplati come sue creature. Poco conta se si tratti di dramma o commedia. Come sottolinea Bocchi l’autentica commedia all’italiana era un «genere che, quando faceva ridere, era a denti ben stretti». Quando faceva ridere. Appunto. Bellocchio e Garrone dimostrano a coloro che ne avessero bisogno che di questa Italia non solo non è necessario ridere per dimostrare di averne capito il male oscuro ma che anzi il riderne, la scelta programmatica di mettere tutto in burla, manifesta casomai proprio l’opportunistica rinuncia a cercarne davvero la sostanza. E – in quell’oscurità – a cercarci.
Gran parte del numero è riservata, naturalmente, al commento e alle votazioni e alle recensioni delle proiezioni veneziane. I lettori – che siano stati alla Mostra oppure no – potranno da quelle pagine farsi un’idea dettagliata di che cosa pensa «Cineforum» a proposito del “nuovo corso”, alle cui scelte non sono estranee alcune sue firme storiche. Ma fuori dallo speciale, nella sezione dedicata alle uscite del mese, trovano spazio altri due titoli che delle varie selezioni della Mostra hanno fatto parte, suscitando aspettative e marcando poi con i consensi suscitati il livello d’interesse generale dell’edizione 2012. L’intervallo (Sezione Orizzonti) di Leonardo Di Costanzo ed È stato il figlio (Concorso Ufficiale) di Daniele Ciprì si concentrano entrambi su una situazione in qualche modo esemplare, che richiama solo indirettamente fenomeni sociali e criminali noti a tutti, privilegiando – ciascuno a modo suo – una messa in scena che li trascende. Immersi in una contestualizzazione indubbiamente più circoscritta, non sono comunque estranei alle intenzioni che nutrono i film di Bellocchio e Garrone: mostrare attraverso vicende singolari l’implacabilità di un sistema che ingloba e annulla le differenze tra i soggetti nella sua reiterata istanza autoriproduttiva. Vi ritroviamo specifiche varianti “locali” di una condizione umana facilmente riconoscibile come prevalente in questi asfittici anni italiani. Siamo un Paese dove troppe persone si baloccano con la realtà, confidando chissà perché nel fatto che questa non dovrebbe mai rivoltarsi contro.