CINEFORUM / 522

Politiche

di Adriano Piccardi

Partiamo da Hollywood. Inevitabilmente. La full immersion di Spielberg tra le quinte della tragedia della Guerra di Secessione ci appassiona per le sue due ore e mezza dedicate ai sotterfugi e ai colpi bassi parlamentari, capaci però di trasformare l’arte del compromesso nello strumento necessario a un cambiamento epocale dei riferimenti etici collettivi. Per contro, Tarantino – tra cinefilia esasperata e ironia para-ucronica – convoglia il suo surplus di sentimentale disposizione a schierarsi senza esitare dalla parte dei più deboli in una macchina ammazzacattivi in piena regola. Al cui meccanismo implacabile non esita a sacrificare anche se stesso, in un’esplosione catartica fors’anche di vago sapore metaforico. Ultima, ma solo per data di uscita in sala, Bigelow ci riporta senza retorica e mezzi termini al decennio appena trascorso per mostrarci – grazie al cinema – ciò che la caotica congerie informativa, alleata alla strategia esclusiva del potere, ci nasconde: una “riconfigurazione della realtà”, legittimata dall’assunzione del punto di vista di un soggetto (e uno solo…), che si assume senza infingimenti la responsabilità di quanto stiamo guardando.
Ed eccoci infine, ma non certo da ultimo in importanza, in Europa, a Olivier Assayas. Che si fa carico di ricondurre un’epoca ormai lontana dentro i canoni del romanzo storico e di formazione: la Storia, la Politica, l’Arte, il Soggetto – tutti argomenti in maiuscolo ma che, riconsegnati alla dimensione delle vicissitudini e dei vagabondaggi dei suoi giovani (la rivoluzione è roba da giovani) protagonisti, acquistano forse la loro dimensione più autentica. In grado di comunicare ancora, e nonostante tutto, il senso di un entusiasmo.
Che tutto questo non vi sembri poco.