CINEFORUM / 529

Intervista ad Alain Guiraudie

Intervista ad Alain Guiraudie

Nel suo cinema ricorrono con naturalezza abbracci e coiti omosessuali come atti che appartengono a un’eterna adolescenza, ma la raffigurazione dell’eros non era mai stata così centrale come in Lo sconosciuto del lago che segna anche un deliberato cambiamento di registro rispetto ai film precedenti. Mentre in Pas de repos pour les braves, ad esempio, la violenza era stemperata da un filtro onirico, ora emerge in una dimensione più grave e inquietante.
Guiraudie (che ha dichiarato di essersi ispirato a fatti e personaggi di un altro lago da lui frequentato) si introduce in questo piccolo teatro seguendo i movimenti di un giovane, Franck, che non ha passato (vive di lavori stagionali) e si immerge nel presente immobile di un’estate qualsiasi, assecondando il desiderio carnale del momento. La temporalità sembra indefinita, così sospesa che mancano i segni identificativi del presente (a cominciare dai telefonini). Alla placida e argentea superficie del lago corrisponde un erotismo inizialmente privo di tensioni e ostacoli, mostrato da Guiraudie con una naturalezza che pone sul medesimo piano il piacere fisico delle lunghe nuotate nell’acqua, dell’indugiare al sole o del camminare sull’erba e gli abbandoni della carne, svelati senza reticenze. L’intimità dei preliminari, delle effusioni, delle fellatio e delle penetrazioni, infatti è mostrata in modo integrale (con coiti non simulati, sulla linea di alcuni film di Catherine Breillat). I coiti appaiono come riti essenziali e liberatori proprio perché consumati en plein air, fra l’erba e sotto gli alberi (non senza che aleggi il terrore dell’aids: un amante di Franck, infatti, si scandalizza che questi non usi il preservativo). Sono rituali scanditi in una serie di atti sempre uguali: l’arrivo in spiaggia, il denudarsi, quindi l’offrirsi agli sguardi altrui, la ricerca di un corpo desiderabile, l’intesa silenziosa e il gioco finale dell’accoppiamento. Le loro dinamiche sono avvolte da una serenità che sembra inviolabile e invece scivola rapidamente e inavvertitamente in un clima perturbante.
Infatti una nota amara e malinconica è subito introdotta dalla presenza di un diverso in quel piccolo mondo omogeneo, un intruso, il solitario Henri, boscaiolo di mezza età, dal fisico appesantito, che ha trascinato fin lì la propria solitudine e infelicità di marito abbandonato dalla moglie e stringe un’amicizia profonda, nutrita, si direbbe, da un’analoga sensibilità, con Franck, sublimando probabilmente un sentimento amoroso per quest’ultimo. Proprio per la sua fisionomia tondeggiante e la saggia bonarietà, Henri è fratello del Lacourtade di Le Roi de l’evasion e del vecchio amante di Basile in Pas de repos pour les braves, come loro esprime una fisicità popolare vulnerabile e anticonvenzionale, la sessualità in meno.
Se in La finestra sul cortile (Rear Window, 1954) di Hitchcock (autore amato da Guiraudie), James Stewart sospettava l’omicidio del vicino da una serie di indizi che spiava dal proprio appartamento, in Lo sconosciuto del lago (il cui titolo sembra riecheggiare un film nero statunitense del periodo classico), Franck invece assiste in tempo reale alla scena violenta e terribile – montata nella sua continuità e inquadrata a distanza, così che appare ancora più credibile – in cui Michel si libera di un amante ormai sgradito, annegandolo nelle acque del lago, con una mimica che ricorda l’azione di un coito brutale, di uno stupro. La luce è quella del crepuscolo, che diviene una cifra luministica di altri momenti del film, addensando un clima di vulnerabilità e incertezza, dato che la visibilità sta diminuendo a vantaggio della notte. L’oggettività della visione, nel film, si confonde talvolta alla soggettività in un’incertezza che investe lo statuto stesso del reale, sempre fisicamente concreto e sempre più aleatorio e minaccioso.
Del resto l’omicidio sembra una rêverie di Franck, fino al momento in cui nello spazio sospeso del lago, non sbuca un improbabile ispettore di polizia, anziano, segaligno e discreto (variante dell’ispettore di Le Roi de l’évasion, che era bonariamente onnisciente e onnipresente). Questa figura, ironica allusione ai codici del racconto nero, ha anche la funzione di insinuare qualche dubbio malizioso sull’Eden del libero scambio omosessuale, quando sottolinea, senza moralismo, l’assenza di solidarietà umana tra i frequentatori di quel luogo, dato che nessuno conosceva il nome della vittima, né sembra interessarsene. L’unica solidarietà umana è proprio quella che si stringe fra Franck e Henri, che sembra addirittura sacrificarsi al suo posto.
Quanto alle pulsioni omicide di Michel, egli uccide con la stessa naturalezza con cui seduce e il momento in cui si apparta con Henri per sgozzarlo sembra, da lontano, la stessa scena di un amplesso. Se l’assassino forse rappresenta una dissimulazione metaforica del seduttore, mostruosamente innamorato di se stesso e della propria libertà, il clima di ansia e pericolo a cui volutamente si espone Franck può adombrare l’abbandono a una passione amorosa assoluta che non concerne solo l’eros omosessuale ma ogni forma di sessualità. La minaccia, l’amore e il sesso si compenetrano insieme come lineamenti di un’unica dimensione.