CINEFORUM / 534

Una piccola storia universale

UNA PICCOLA STORIA UNIVERSALE di Tina Porcelli Applauditissimo al Festival di Locarno 2013, The Special Need è il lungometraggio d’esordio di Carlo Zoratti, trentenne regista friulano con alle spalle varie esperienze di videoclip e cortometraggi. Proveniente da studi di Interaction Design e da un’esperienza di lavoro a Fabrica, Zoratti è uno dei curatori della direzione artistica per il tour 2013 di Jovanotti, i cui visual tridimensionali realizzati con Kinect (il controller della Xbox usato per mappare e tracciare i movimenti del corpo), hanno reso lo schermo sul palco non più un semplice fondale ma una dimensione aggiuntiva di sorprendente qualità per un concerto italiano. Con un tale background, da Zoratti ci si aspetterebbe un’opera prima di impatto sensazionalistico, o quantomeno che punti sull’elaborazione tecnologica, invece si resta piacevolmente sorpresi da un progetto documentaristico, montato con un senso del ritmo tale da sconfinare nella fiction. Il risultato è un film fresco e vitale, miracolosamente in bilico tra l’ineffabile spontaneità del reale e l’avvincente concatenazione della narrazione immaginaria. Carlo Zoratti ci racconta una storia che fa parte del suo vissuto, fin da quando, adolescente, conosce il coetaneo Enea, frequentandolo per un certo periodo e perdendolo successivamente di vista. Lo rivede per caso molti anni dopo alla fermata dell’autobus e lo ritrova uomo adulto, intuendo in lui i suoi stessi desideri e bisogni. Ma Enea è autistico e, sebbene la sua fisicità sia normale, a quasi trent’anni non ha mai fatto l’amore. Però, se è certamente vero che l’innamoramento è indotto da dinamiche complesse e chimiche imprescindibili, altra cosa è il rapporto sessuale che, come dice uno dei protagonisti del film, «viene dalla pancia», mentre «il rapporto sentimentale viene dopo». Da queste lapalissiane premesse, insieme ai suoi due complici Carlo (Zoratti) e Alex, incomincia il viaggio di Enea che, per una coincidenza assolutamente casuale, ha lo stesso nome dell’illustre viaggiatore mitologico. The Special Need è un vero e proprio road movie su un vecchio pulmino Volkswagen bianco e, al contempo, un percorso di formazione interiore che porta il protagonista a interrogarsi sulle sue aspirazioni, uscendone alla fine profondamente cambiato. A differenza di altri film che affrontano con stile documentario il problema dell’autismo, come per esempio Elle s’appelle Sabine (2007) di Sandrine Bonnaire, che racconta la parabola discendente della sorella confrontando i filmati del passato e l’estraneità dolorosa del presente, la storia di Enea ci regala momenti di disarmante purezza e una straordinaria, involontaria comicità. Zoratti è bravo a estrarre questo potenziale, costruendo un film che si mantiene sempre al largo dal registro della compassione o del patetismo. Basti pensare alla scena iniziale, dove Carlo ed Enea si sfidano in una sparatoria con delle pistole ad acqua e quest’ultimo, credendo di avere ucciso l’amico, gli pratica con istintiva intraprendenza una vigorosa respirazione bocca a bocca. Un clima gioioso e familiare che denota da subito una frequentazione e una complicità sedimentate negli anni. Solo a queste condizioni, che hanno radici in un vissuto comune di amicizia, il film riesce a essere così naturalmente spontaneo, al punto che il regista, che inizialmente non aveva previsto di finire dentro le inquadrature, ha dovuto entrarci come uno dei protagonisti per evitare che Enea continuasse a cercarlo dietro la telecamera, parlandogli assiduamente e infrangendo sistematicamente il tacito patto di finzione con lo spettatore. In un clima di scanzonato cameratismo maschile, Carlo e Alex decidono di aiutare Enea a consumare il primo rapporto sessuale della sua vita. Goffamente, cercano anzitutto di convincere delle prostitute a fare sesso con lui spiegando loro la delicatezza della situazione e, di fonte al loro netto rifiuto dettato dalla paura della diversità, arrivano fino a interpellare le responsabili di un’associazione legalmente costituita per i diritti civili delle prostitute. Scoprono così che, per la legge italiana, il loro ruspante tentativo di organizzare un incontro a pagamento per Enea può sfociare in una denuncia di favoreggiamento. Su suggerimento delle sindacaliste, partono quindi alla volta di un bordello in Austria e, dall’ameno paesaggio della campagna friulana, approdano a uno squallido parcheggio delimitato da laminati di ferro con un incessante rumore di traffico in sottofondo. Una situazione alienante per la sensibilità di Enea che aspetta nel pulmino i due amici, entrati in avanscoperta nel locale a luci rosse. Le sue aspettative sembrano essere molto distanti visto che, per tutto il viaggio, ha accarezzato con struggente ingenuità la sua donna di carta, la fotografia di una bellissima ragazza sorridente ritagliata da una rivista patinata, che Enea chiama Caterina. Dopo un’esplorazione fugace e uno scambio verbale con lui, i due amici comprendono che quel tipo di mercificazione seriale dell’atto sessuale non fa al caso loro e decidono di prolungare il viaggio fino in Germania, dove esiste un centro con assistenti che spiegano ai ragazzi disabili com’è la sessualità e che sono altresì disposte a praticare il rapporto fisico. All’incirca delle prostitute psicologhe, che accolgono Enea in un’atmosfera di convivialità condivisa dentro una grande casa immersa nel verde, dove pranzano insieme ad altre persone chiacchierando serenamente intorno al tavolo. Poi Ute, una rassicurante signora bionda di mezza età, fa sperimentare a Enea la tenerezza e il contatto con l’altro fino ad appartarsi con lui in una stanza illuminata dalla morbida luce delle candele. Cosa accadrà nel momento cruciale non lo sappiamo, perché la telecamera arretra rispettosamente e devia verso una finestra aperta su un paesaggio bucolico. In seguito, scopriremo che anche questa volta Enea si è tirato indietro, perché quella donna non sarebbe mai stata quella della sua vita. Al ritorno del viaggio il protagonista però si è schiarito le idee e decide di dichiararsi a una persona in carne e ossa, Francesca, sua compagna in un corso teatrale rivolto ai disabili. Poco prima della rappresentazione, protetto dalla sua armatura scenografica di cartone e scotch, prende l’iniziativa ed esprime il proprio interesse alla ragazza dei suoi sogni. E, come spesso accade nella realtà che è diversa dalla fiction, scopre che l’oggetto del suo desiderio non lo vuole perché è già fidanzata con un altro. Mentre sul palcoscenico del teatro va in scena una divertente recita che suscita le risate degli spettatori, la telecamera fruga attraverso i buchi per gli occhi l’espressione di Enea, drammaticamente immobile dentro la corazza cartonata. La cruda verità della vita e l’artificio della sgangherata rappresentazione amatoriale sono un simbolico ossimoro di come questo film riesca a non prendersi troppo sul serio e, nel contempo, a raccontare una piccola storia di portata universale. In fondo, il desiderio di Enea è comune alla maggior parte degli esseri umani: trovare una persona carina, simpatica e sensibile che si interessi a lui. Di fatto, The Special Need non ha una sceneggiatura prestabilita e si affida alle traiettorie e agli umori di Enea. Le inquadrature del suo volto, che non conosce gli artifici della recitazione, sono tra le immagini più intense del film e lasciano trasparire tutta la gamma delle emozioni che gli passano per la testa: da una parte le esitazioni e gli indugi davanti a situazioni sconosciute e, dall’altra, la curiosità e il prepotente desiderio di catapultarsi nella vita. Merito soprattutto della “giusta distanza” estetica trovata da Zoratti che, nell’intervista in questo numero della rivista, cita appunto un’affermazione del documentarista russo Viktor Kossakovsky, in cui si afferma che fare documentari è come usare due magneti: se li tieni troppo lontano non succede niente, se sono troppo vicini si attaccano. In The Special Need Zoratti è proprio riuscito a trovare, e mantenere, quel punto in cui i due magneti vibrano per l’attrazione, quel guizzo fugace e intenso che solo la vita vera possiede.