L'altra faccia delle lune

L'altra faccia delle lune

Luchino e Maria

Muore, all'età di 87 anni, Maria Denis (vero nome Maria Esther Beomonte), nata a Buenos Aires il 22 novembre 1916.

Non ultima tra le “dive del ventennio”, gira il suo primo film importante nel 1933 a soli 17 anni (Non c'è bisogno di denaro, di Palermi, regista che le sarà fedele) e poi si afferma con un pot-pourri di belle interpretazioni: tre film epocali quali lo splendido Treno popolare (1933, di Matarazzo), il memorabile 1860 (1934, di Blasetti), il discutibile ma fascinoso L'assedio dell'Alcazar (1940, di Genina), unitamente a una notevole serie di commedie o piccoli drammi (basti ricordare Seconda B, 1934, di Alessandrini; Addio, giovinezza!, 1940, di Poggioli; Sissignora, 1941, dello stesso Poggioli; Nessuno torna indietro, 1943, di Blasetti). Fatto sta che nel decennio 1933-1943 interpreta ben 43 film, ma poi accade l'inevitabile, ovvero il crollo del regime.

In questo ambito si verifica l'ancora oscura vicenda del “caso Visconti”: Maria, invano innamorata del regista omosessuale, intercede per la sua liberazione dalle mani dell'aguzzino fascista Pietro Koch e – a quanto sembra – contribuisce a ottenerla, forse sacrificandosi fisicamente, ma ne ricava soltanto l'onta della vergogna, l'accusa di collaborazionismo, un processo mediatico e nessuna riconoscenza dall'interessato

Lasciamo la parola al suo mesto memoriale, dal delicato incipit: «Nel '42, sì, lo conobbi in quell'anno Luchino Visconti. In piena guerra, a Roma. Mi strinse le mani fra le sue. Una stretta avvolgente che mi emozionò. “Ah, la nostra piccola Maria”, disse con quella voce speciale, irta di erre. Era bello. Mi colpirono gli occhi: neri, possessivi, con qualcosa di crudele nel fondo. Credo di essermi innamorata subito di lui, contro ogni ragionevolezza», sino all'amara conclusione: «Luchino Visconti non l'ho più rivisto. Quando si ammalò gli scrissi un biglietto per augurargli di guarire presto. Lo feci sinceramente, chi soffre non mi è mai indifferente. “Ti ricordi di quella promessa?” gli rammentai. “Dobbiamo ancora giocare al gioco della verità.” Non mi ha mai risposto. Capii che non era più il caso di sperare in una spiegazione. Forse era difficile anche per lui trovarla. Certe volte, giocare alla verità può essere troppo crudele» (Il gioco della verità. Una diva nella Roma del 1943, Baldini e Castoldi, 1995).

Modesto, per l'attrice, il dopoguerra: tra il 1946 e il 1954 (il suo addio al cinema con Tempi nostri del non immemore Blasetti) si possono annoverare La prigioniera dell'isola (1947, di Cravenne, accanto a un redivivo Stroheim), Private Angel ovvero Angelo buon diavolo (1948, di Ustinov), La fiamma che non si spegne (1949, di Cottafavi).

Poi la signora si dedica al mestiere, forse più consono, visti i tempi, di arredatrice.