Ping Pong

Ping Pong

Una storia vera (14)

L'episodio del cervo sta al centro del film, al minuto 54'. Alvin viene superato da un'auto, rumore di clacson, freni che stridono, zoom che rimbalza sul viso di lui. Dal rumore del botto al primo controcampo passano 34 secondi - un tempo lunghissimo - in cui Alvin si ferma, scende con calma dal tagliaerba e cammina verso l'incidente. In realtà si tratta di una carrellata di fianco al vecchio Straight, per farci apprezzare il paesaggio vuoto sullo sfondo, prima di arrivare ad inquadrare l'auto fracassata e il cervo morto. Il c/cc arriva qui, quando lui offre il suo aiuto alla donna-autista-ammazzacervi e lei si lancia in un surreale monolog  sull'impossibilità di evitare gli animali, anche se stai con le luci accese, suoni il clacson, urli fuori dal finestrino, batti i pungi sulla fiancata e metti i Public Enemy a tutto volume (sui Public Enemy anche Alvin trattiene a stento un sorriso). A quanto pare non serve neppure pregare san Francesco e san Cristoforo. Non c'è santo (o gruppo rap) che tenga con quei dannati cervi. Ne investe uno quasi ogni settimana (per la verità tredici cervi in sette settimane fanno quasi due a settimana). 

Di fatto la signora è costretta a percorrere quella strada (e stavolta Alvin il sorriso non lo trattiene più). Ma ecco lo stacco che rende la sequenza straordinaria e illuminante, l'inquadratura su un panorama desertico, piatto, dove domina il nulla fino all'orizzonte. "Ma da dove vengono?", urla lei e pensiamo noi. Il fatto che la signora ami i cervi (lo grida) non è certo un dettaglio e rende tutto ancora più spassoso e strambo e metaforico.

In questo film di Lynch, lo abbiamo già detto, c'è tutto Lynch - le inquietudini, gli orrori, i fantasmi e i mostri dell'anima, le apparizioni assurde - ma tutto riportato alla sua radice intima e quotidiana, ad una dimensione più "famigliare", a cose, persone, animali, strade (dritte) e semplici divagazioni (deviazioni). Se poi vogliamo fare della filosofia, qui si parla dell'incomprensibile inevitabile, della follia che sta dentro ad ogni vita (anche sulla strada apparentemente dritta di una pendolare), della bizzarra divertente angosciante presenza dell'assurdo, dell'inspiegabile, del misterioso.

Lei sgomma via dall'incidente e Alvin rimane a contemplare il cadavere del cervo in mezzo alla strada, in una delle immagini più belle del film, con la strada che si perde all'infinito verso il cielo. Stacco. Fuoco acceso per l'ennesimo bivacco. Alvin risponde all'assurdo a modo suo, riportandolo coi piedi per terra. Il misterioso cervo è un pasto ottimo e abbondante. Anche se alcuni parenti inanimati lo osservano da vicino (bellissimo anche il totale degli animali-statue, la catapecchia abbandonata e il tagliaerbe illuminato dal sole al tramonto). Dopo il nero, ritroveremo il cielo e il trabiccolo di Alvin abbellito dalle splendide corna del cervo. Alvin è un tipo concreto, già lo sapevamo. Bada al sodo. E ha un suo senso estetico.