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Notes on Blindness: Into Darkness

Se possiamo parlare di classici per un medium in una fase ancora così embrionale come la realtà virtuale, una menzione speciale va a Notes on Blindness: Into Darkness, presentato al Sundance Film Festival nel 2016 come contrappunto immersivo dell’omonimo lungometraggio diretto da Peter Middleton e James Spinney.

Quest’opera interattiva, già divenuta cult, ci provoca con un gesto in tutto e per tutto cinematografico: calarci nell’oscurità. Nell’indossare il casco lasciamo il nostro mondo saturo di stimoli per incontrarne un altro, regolato da leggi diverse da quelle del nostro quotidiano. Ci accompagna la voce di John Hull, scrittore e teologo australiano che all’età di quarant’anni ha conosciuto una progressiva e poi definitiva perdita della vista. Dopo essere diventato cieco, iniziò a tenere un diario orale – raccolto poi in un libro –, registrando più di 16 ore su audiocassette: un serbatoio di impressioni e di pensieri per comprendere l’esperienza della propria cecità e far fronte all’angoscia di una perdita irreversibile.

Come in molte produzioni di questi anni, la realtà virtuale è esplorata come un medium fortemente empatico, in grado di avvicinarci all’esperienza di per sé inaccessibile dell’altro, di rendere comunicabili esistenze invisibili e ai margini. Ci si potrebbe però chiedere se la realtà virtuale sia un medium adatto ad affiancare letteratura e cinema in quest’opera intermediale nel raccontare l’esperienza della cecità. Come documentare in immagini la percezione del mondo di chi ha perso la vista? Come appare il mondo a chi non vede? Non dobbiamo lasciarci trarre in inganno, Notes on Blindness non pretende di poter esprimere cosa voglia dire vivere essendo privati della capacità di vedere, ci racconta piuttosto di un corpo che deve prendere dimora in un altro mondo.

Cosa significa essere in casa o in un giardino, senza poterli vedere? Anche se immediatamente vicini, un lago, un albero, una campana o un’altalena non esistono finché non sono in movimento, un bambino che gioca finché non chiama il papà. È il suono che fa apparire le cose nella distanza, ogni elemento ha bisogno di essere suscitato per rivelare presenze altrimenti nascoste. Scopriamo che il tuono riveste il mondo di un tetto sonoro dando profondità al cielo invisibile e che la pioggia ha un superpotere perché manifesta le superfici di tutte le cose e fa apparire un mondo tridimensionale e palpabile.

Attraverso cinque capitoli e un epilogo, l’esperienza immersiva di Notes on Blindness non ci racconta la scomparsa di un senso, ma l’apparizione di una costellazione di legami segreti tra le cose, che siamo chiamati ad attivare, con il nostro movimento e la nostra attenzione. Ecco che, in maniera elementare ma efficace, l’esperienza diventa interattiva. Con un semplice gesto, provochiamo il vento che rivela le masse delle cose che ci circondano, contribuendo alla costruzione dello spazio circostante. Oppure ci spostiamo nel buio e dirigiamo la nostra attenzione verso gli oggetti per farli apparire. L’ambiente, che sembrava vuoto, si anima o meglio si rivela animato in ogni sua parte.

Anziché ricadere nella facile metafora del buio, Notes on Blindness riesce a prendere in contropiede la retorica della privazione sensoriale: perdere la vista è solo il primo passo, poi bisogna diventare ciechi, imparare cioè a percepire un mondo presentificato e spazializzato dagli altri sensi. Da vedenti possiamo solo immaginare cosa questo significhi, ma guidati dal sound design dell’ambiente immersivo, capiamo forse come disimparare a vedere, smettiamo cioè di tentare di tradurre gli stimoli uditivi in una serie di surrogati del visivo e iniziamo a comprendere quello che John nella sua testimonianza unica descrive come un “dono oscuro” (Adelphi, 2019), un dono non voluto ma pur sempre un dono, una forma di veggenza – per prendere in prestito le parole di Alfredo in Nuovo Cinema Paradiso, “…ora che ho perso la vista ci vedo di più”.

Infine, come ogni riuscita opera pioneristica, Notes on Blindness è anche una riflessione sul medium che prova a trasformare. Nonostante la grande importanza che si tende ad attribuire alla componente visiva, questa creazione immersiva utilizza l’immagine come forma di visualizzazione del suono spazializzato e binaurale e mostra così come gli ambienti virtuali siano innanzitutto esperienze multisensoriali. Per questo, quest’opera è anche una perfetta iniziazione alla realtà virtuale, in quanto offre un correlativo oggettivo e quasi un tutorial di quello che siamo chiamati a fare quando indossiamo un casco: il mondo attorno a noi si sospende e da questa artificiale cecità emerge una nuova dimensione, oltre il visibile, a cui i nostri sensi devono abituarsi e addomesticarsi.

Notes on Blindness: Into Darkness (Amaury La Burthe, Arnaud Colinart, James Spinney, Peter Middleton, realizzato da Ex Nihilo, ARTE France and AudioGaming, in coproduzione con Archer’s Mark, 2016, 3DOF)

 

Disponibile gratuitamente su:

Arte 360 VR

http://sites.arte.tv/360/en/notes-blindness-360

Oculus Quest

https://www.oculus.com/experiences/quest/1946326588770583

Within

https://www.with.in/watch/notes-on-blindness/

App Store (iOS)

https://itunes.apple.com/app/notes-on-blindness-vr

Google Play

https://play.google.com/store/apps/details?id=com.Arte.NoB

Samsung Gear VR

https://www.oculus.com/experiences/gear-vr/1015802351839289/