CINEFORUM / 578

Occhi per vedere

Il particolare passaggio esistenziale che Sinan, protagonista di L’albero dei frutti selvatici, si trova a dover consumare in un contesto storico più che problematico ne favorisce l’assunzione di una prospettiva critica e insofferente nei confronti del mondo e di chi lo abita, che attizza continuamente un conflitto mostrato con «folgorante intensità poetica, annullando i confini fra la visione onirica e il reale». Da parte sua, il detective Ron Sallworth del film di Spike Lee diventa invece protagonista di un’invenzione investigativa che mostra il segreto della sua riuscita soltanto nella misura in cui l’autore del film ne fa il tramite con cui disvelare come lo sguardo cinematografico ricombinatorio sia in grado di intervenire sulla percezione della realtà degli individui, trasformandola in un dato politico. I primi e primissimi piani che in Girl attirano il nostro sguardo di spettatori dentro quello che Lara porta sugli altri ma soprattutto sul proprio futuro e su una se stessa che vorrebbe già reale, senza attendere i tempi imposti dalla medicina perché il suo sogno si possa realizzare, si traducono infine nell’inquadratura in cui lei ci ri-guarda, fiera e consapevole di una bellezza esteriore e interiore finalmente riappacificate.

Al pudore e al rispetto che caratterizzano l’approccio di Costanza Quatriglio alla materia drammatica e difficile di Sembra mio figlio risponde la mite fermezza che illumina gli occhi di Ismail sospeso tra presente e passato, Italia e Afghanistan, soggetto di coscienza tra i tanti sguardi incoscienti. Agli antipodi della scelta della cineasta italiana sta la visione manichea, apparentemente improvvisata e impressionistica che Michael Moore porta sul presente degli Stati Uniti, per metterlo davanti ai nostri occhi nella prospettiva sorprendente che questi siano in realtà un Paese di sinistra… Un po’ l’operazione – se ci passate l’accostamento indubbiamente blasfemo – che Bradley Cooper ha compiuto per portare alla luce, ai nostri occhi, la verità nascosta di Ally/Lady Gaga prima che lo star system la (ri)porti a sé.

Se in Una storia senza nome Andò impone al soggetto, di per sé più predisposto a un trattamento in giallo, il registro della commedia, lo fa per divertire e, attraverso questa deviazione, tentare comunque le corde dell’impegno civile. A fronte di un Caravaggio scomparso c’è in Opera senza autore un artista che per tutta la vita tende all’invisibilità e all’inafferrabilità, segnato dalla differenza di sguardo vista all’opera da bambino nell’approccio di sua zia alla cosiddetta “arte degenerata”. Infine, l’eccesso visionario di personaggio e autore, Don Chisciotte e Terry Gilliam: «Lo scarto tra l’occhio che guarda il mulino a vento e l’immaginazione che vede il gigante è il principio estetico e affabulatorio di tutto il suo cinema».

Nella grande varietà di storie, temi e stili dei film di cui Cineforum si occupa in questo numero, ci sembra di poter individuare un filo che la attraversa fornendo un motivo comune. Parliamo della diversità di sguardo. Che si presenti nell’approccio personale del cineasta a cosa e a come narrare; oppure nei personaggi in azione determinandone identità e percorso, uno scarto che produce la materia narrativa e la forma espressiva delle opere motivandone l’interesse intrinseco, al di là della valutazione che ogni spettatore può darne.