Un Certain Regard

Euforia di Valeria Golino

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Morte, nascita e malattia, questi i momenti in cui le famiglie sono solite guardarsi in faccia davvero. Ma Matteo -  giovane, bello, vizioso e pieno di soldi fatti con installazioni in realtà virtuale – momenti simili preferisce evitarli. Per questo, quando al fratello maggiore Ettore viene diagnosticato un tumore al cervello, sceglie la strada dell’inganno collettivo, minimizzando la malattia con tutti, paziente compreso.

Come nel film precedente di Valeria Golino, Miele, la morte è il convitato di pietra del racconto: ne definisce il perimetro, ne costituisce il senso profondo, anche se poi di fatto rimane ai confini della narrazione. Il protagonista non la affronta di petto, e tuttavia ne viene condizionato. Al punto che il film è fatto dei suoi disperati tentativi per tenere alto il morale del nucleo familiare: oltre alle menzogne, soldi spesi a profusione, gite e regali, tutto viene buono quando si tratta di lasciare fuori dalla porta di casa (nella fattispecie, un lussuoso attico romano) il pensiero della fine. Che però striscia dentro gli interstizi del film, lo attraversa e contamina come un virus inesorabile e silenzioso, rendendo struggenti anche i momenti più leggeri: uno per tutti, il balletto dei due fratelli che in ospedale imitano Stanlio e Ollio, omaggio velato ad una scena altrettanto memorabile, per allegria venata di tristezza, del Gaucho, con Gassman e Manfredi nei ruoli principali.

Con la commedia all’italiana il cinema della Golino condivide, per ora, almeno un aspetto: il ruolo fondamentale giocato dagli attori. Se la seconda parte di Miele si reggeva sulle spalle di Carlo Cecchi, in questo film Riccardo Scamarcio e Valerio Mastrandrea danno ai personaggi dei due fratelli spessore, forza e credibilità. Sempre, dato il tema del film, a un millimetro dal patetico, senza mai caderci dentro.