Che cosa significa abitare un corpo con il quale non ci si identifica? Non sentirsi a proprio agio nella propria pelle, guardarsi allo specchio e non riconoscersi? Body of Mine di Cameron Kostopoulos traduce in un linguaggio comune l’esperienza di moltissime persone trans, offrendo un vero e proprio viaggio all’interno del corpo di qualcun altro.
Per ribadire il carattere trasformativo dell’opera, Kostopoulos e il suo team hanno realizzato un efficace allestimento. L’“area di gioco” è infatti racchiusa all’interno di un guscio, percorso all’esterno da rossastre forme biomorfe, che evocano un immaginario inquietante e vivente. Trattandosi di un’esperienza che richiede un certo grado di intimità, la solitudine e la separazione dal via vai dell’Immersive Island, è essenziale. Prima di entrarvi, l’utente è invitato a rispondere ad un questionario sulla propria conoscenza della disforia di genere o del dismorfismo corporeo e a scegliere un avatar tra quelli disponibili. Per massimizzare l’effetto di straniamento, ciascuno è invitato a scegliere la persona che gli appare il più possibile diversa da sé.
L’esperienza sfrutta al massimo delle sue potenzialità i sistemi di tracking che consentono alla Realtà Virtuale di darci un corpo alternativo. Prima di iniziare l’immersione, per consentire il più alto grado di realismo possibile, l’avatar che abbiamo selezionato viene infatti calibrato sulla nostra corporatura: l’illusione deve essere totale. L’ambiente è pervaso da una fragranza floreale avvolgente e calmante: nell’intenzione dei creatori, lo spazio che stiamo abitando deve essere il più possibile sicuro e rassicurante.
Eccoci quindi catapultati in un universo oscuro e inquietante, rossastro come il sangue fibroso come i muscoli: l’autore immagina così la discesa all’interno del corpo, quell’inconscio fatto di viscere e interiora, che resta a tutti segreto. In questo paesaggio carnale e luminescente, siamo posti di fronte a uno specchio che ci restituisce un’immagine altra, di un corpo che sembra il nostro, ma che non ci appartiene. Sebbene disorientati, siamo quindi invitati a esplorarlo, a toccarci in punti, anche intimi, che vediamo luccicare riflessi allo specchio. È questa gestualità, curiosa e allo stesso tempo affettuosa, rivolta a noi stessi, che attiva l’ascolto di esperienze di persone transgender. L’autore vuole renderci testimoni e attori di queste esperienze, vuole che le facciamo nostre attraverso la nostra carne e il suo doppio virtuale.
Body of Mine sfrutta il cosiddetto effetto Proteo, oggetto di studio consolidato degli approcci filosofici e cognitivi alla VR. L’idea è semplice, quanto efficace: quando impersoniamo un avatar, le caratteristiche fisiche e psicologiche di quest’ultimo influenzano il nostro comportamento off-line. Spingendoci oltre, potremmo dire che la VR sembra davvero in grado di fornire esperienze trasformative: se ci mettiamo i panni di qualcun altro, quando li svestiamo non siamo più gli stessi.
Torniamo all’interno di Body of Mine: le testimonianze intime di persone trans, prima incentrate sul dolore e la sofferenza provocate da una società ancora escludente e impreparata, lasciano spazio a dichiarazioni d’amore rivolte al proprio corpo: in una parola, alla gioia trans. Nel frattempo, lo spazio che ci avvolge, prima estraneo e quasi tetro, lentamente fiorisce divenendo finalmente un giardino accogliente. La nostra immagine allo specchio si moltiplica, e l’avatar con il quale abbiamo “familiarizzato”, lascia il posto ad altre individualità, diverse all’esterno ma unite da un medesimo desiderio di riconoscimento e affermazione.
Body of Mine è un’ode all’esperienza transgender che, utilizzando un linguaggio visivo estremamente accurato, riesce a tratteggiare la complessità del rapporto che ciascuno intrattiene con il proprio corpo. Pur rientrando a pieno titolo in quell’indagato, e criticato, filone della VR prosociale che vorrebbe suscitare un potente e sincero sentimento di empatia nell’utente, Body of Mine riesce nell’intento di guidarlo verso un’esperienza trasformativa, servendosi al meglio degli strumenti che oggi la VR è in grado di offrire. E lo fa immaginando una cornice capace di dare spazio all’immaginario, senza appiattirsi su letture univoche, tipiche dell’imperativo del politicamente corretto.
Body of Mine di Cameron Kostopoulos (15’, USA)