Venice Immersive 2022

Venice Immersive – Attori-avatar e performance virtuali

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Il ritorno di Venice Immersive nell’isola del Lazzaretto corrisponde con la possibilità di incontrare opere più complesse, in termini di gradi di libertà, interazione e multisensorialità, rispetto a quelle esperite negli ultimi due anni, quando la rassegna per noti motivi di salute pubblica è stata fruibile online o, solo dopo il Festival, in specifici spazi adibiti in città come Milano e Piacenza. Fino al 2019 la presenza a Venezia di un luogo specifico destinato alla realtà virtuale aveva permesso l’allestimento di installazioni estremamente stratificate e innovative, impossibili da fruire da casa con il visore proprio perché sostenute da una costante dialogo tra spazio fisico e virtuale come dalla collaborazione di spettatori e performer. Nel 2018, in particolar modo, la presenza di attori-avatar con cui interagire in tempo reale era al centro di due esperienze di grande originalità: The Roaming. Wetlands di Mathieu Pradat, in cui un indimenticabile Vodoo Man non solo guidava i visitatori in paludi che richiamavano La morte scorre sul fiume di Charles Laughton, ma si esibiva anche in una performance canora accompagnata col banjo; The Horrifically Real Virtuality di Marie Jourdren, esilarante happening cinefilo in cui due performer, nei panni di Ed Wood e Bela Lugosi, invitavano il pubblico prima a girare uno dei loro mitici b-movie e poi a immergersi nello stesso. Si trattava di esperienze sempre uniche e irripetibili, in quanto dipendenti tanto dal dialogo sempre diverso che gli utenti instaurano fra di loro quanto da quello altrettanto imprevisto che prende forma con il performer virtuale.

In quest’ultima edizione di Venice Immersive gli happening virtuali e le performance degli attori-avatar hanno potuto riconquistare la centralità che meritavano, soprattutto nella prospettiva di una VR capace di coprire e implementare tutti i gradi di libertà di cui dispone. Questo è avvenuto soprattutto in una forma specifica, che non prevede tanto la sovrapposizione di spazio fisico e digitale come accadeva nelle esperienze citate prima, quanto nella compresenza degli avatar di partecipanti e performer, in realtà dislocati nello spazio fisico, in ambienti-mondo ispirati al Metaverso, dove la prossimità passa necessariamente attraverso il teletrasporto.

È per esempio il caso di Mandala – A Brief Moment in Time di Thomas Villepoux, dove lo spazio virtuale è rappresentato da un tempio cinese ultraterreno in cui i partecipanti assumono come avatar la propria futura reincarnazione. La loro cooperazione produce un diagramma mistico (per l’appunto, un mandala) che risveglia una scimmia (il performer) capace di guidarli nella via del Buddha. La commistione tra comicità e sermone filosofico, in realtà più new age che buddhista, è uno dei sintomi della versatilità richiesta all’attore virtuale, la cui performance varia radicalmente a seconda che nel gruppo si presenti un invasato in vena di confidenze spirituali o un introverso imbarazzato dall’interazione con un primate parlante.

Una situazione che si verifica in modo ancora più radicale in Gumball Dreams di Deirdre V. Lyons e Christopher Lane Davis. L’opera consiste infatti in un complesso cosmo digitale, che ruota intorno all’interazione con Onyx, una creatura aliena con corna di cervo e accento british che non solo chiede, per la salvezza del suo pianeta, l’esecuzione di alcune specifiche operazioni (non così immediate e capaci di prolungare l’esperienza in modo indefinito), ma si sofferma a parlare con ogni singolo partecipante di profonde problematiche esistenziali illuminandolo con la sua mistica sapienza. Anche se ci troviamo di fronte a una prova attoriale dalla complessità sorprendente, che per funzionare deve unire abilità espressive, mimetiche e conoscenze personali con la guida pratica alle operazioni da eseguire nell’universo digitale, non ci è altrettanto semplice fornire una risposta adeguata a un’extraterrestre che domanda cosa cambieresti della tua vita se potessi tornare indietro. La vita reale ha invaso eccessivamente il mondo virtuale (o viceversa), ma forse è proprio questo il senso della vera performance.