Per questa edizione, sull’isola del Lazzaretto Vecchio – in occasione della Biennale Cinema ribattezzata Immersive Island – si è molto discusso di ecologia. Il tema dell’ambiente è infatti al centro di molte esperienze in e fuori concorso, che lo hanno affrontato con soluzioni creative e forme esperienziali non scontate.
Se richiamarle tutte significa tracciare un ventaglio delle possibilità di experience design relative all’immersività – dal gioco interattivo al “semplice” cinema stereoscopico e all’installazione multischermo – una cosa è certa: per questa edizione la retorica empatica e dei grandi shock emotivi è stata lasciata sulle coste del Lido. La selezione di quest’anno affronta sapientemente temi di stretta attualità come l’impronta ecologica dei grandi processi umani sull’ecosistema, la neutralità carbonica o l’impatto ambientale delle stesse produzioni immersive senza mai sconfinare nella pornografia visiva della catastrofe. Per questa edizione le esperienze presentate prendono le distanze dai registri del primo giornalismo immersivo, che puntava a far esperire i contenuti d’inchiesta coinvolgendo l’utente sul piano sia emotivo che psicomotorio per farlo sentire presente proprio là dove i grandi problemi politici si facevano più concreti. Ad essere presente, invece, è un invito a prendere coscienza del posizionamento antropico nell’ambiente facendo leva su emozioni meno orientate allo shock ma che oscillano piuttosto tra gioco, meditazione e meraviglia.
L’installazione multischermo Framerate: Pulse of the Earth, ad esempio, si incentra sul tema delle trasformazioni antropiche del paesaggio, presentando eleganti time-lapse a base “fotografica” realizzati con scanner 3D. L’ultimo lavoro dello studio londinese ScanLab non solo visibilizza il paesaggio in modo impossibile tanto per il sensorio umano che per le camere tradizionali, ma nello stesso tempo ne misura scientificamente il cambiamento, piazzandosi al limite tra oggetto d’arte contemplativo e materiale di studio scientifico.
Forme più semplici di storytelling sono invece adottate da altre esperienze, come il documentario Kingdom of Plants con David Attenborough, dal classico taglio espositivo, che usa il casco come “semplice” strumento di visione di riprese macro di piante, muffe e insetti rese monumentali dalla scala del visore; o la favola naïf The Miracle Basket, che invita l’experiencer in modo fin troppo semplicistico a seminare piante miracolose in un giardino dai colori fluo danneggiato dall’arrivo di una stereotipata astronave rappresentante il capitalismo.
A scegliere la forma videoludica è invece Okawari, produzione franco-canadese firmata da Landia Egal e Amaury La Burthe, una divertente esperienza interattiva in realtà mista ambientata in un ristorante koreano costruito, nella sua versione offline, con materiali a basso impatto e arrivati su rotaia, come fanno notare inizialmente le maschere. Okawari invita l’experiencer a partecipare, in competizione con gli altri avventori del locale, ad uno dei grandi riti della società capitalistica: una gara di all you can eat. Proprio quando si è più assorbiti nel superare il punteggio del vicino di tavolo che ha appena ordinato gli ultimi udon sul menù, però, tale potlach viene improvvisamente interrotto da un terremoto che distrugge il ristorante e rivela un paesaggio devastato dalla crisi climatica causata, tra l’altro, anche dallo stesso consumo sconsiderato che avevamo perseguito fino all’istante precedente. Nonostante alcune imperfezioni tecniche, Okawari riesce a focalizzare l’attenzione sul legame tra ambiente e cibo tramite un dispositivo videoludico che rivisita in chiave edificante un motivo topico dei flash game online.
Ma la riflessione degli autori Egal e La Burthe non si ferma e prende in considerazione anche l’impatto spesso sottovalutato di produrre contenuti solo all’apparenza dematerializzati, come quelli immersivi. Ne hanno parlato gli stessi creator in uno dei panel che hanno animato il programma del festival, dove si sono pronunciati sull’importanza di creare consapevolezza ed espandere la sensibilità anche presso una comunità nascente come quella legata all’immersività, un’idea che potremmo eleggere a tema comune di questa piccola rassegna di esperienze.