All’inizio era una sceneggiatura chiamata The Cellar: pensata per un film “ultra low budget”, scritta da Josh Campbell e Matt Stuecken e inserita nella Hit List dei migliori script del 2012. La sceneggiatura viene comprata dalla Paramount che la affida alla Bad Robot di J.J. Abrams perché la modifichi. Allo script mette mano anche Damien Chazelle prima di iniziare a lavorare al suo secondo film da regista (Whiplash) e quindi, per quella che sarà poi la stesura definitiva, Dan Casey. Per il progetto The Cellar (che in fase di lavorazione cambierà nome in Valencia), la Insurge Pictures (label della Paramount specializzata in film a micro budget) stanzia cinque milioni di dollari (in seguito diventati 15) e chiama l’esordiente Dan Trachtenberg a dirigerlo.
Nel corso della produzione di quella che avrebbe dovuto ‘solo’ essere la storia di una ragazza sequestrata e tenuta prigioniera in un rifugio antiatomico da un uomo convinto che all’esterno sia scoppiata una guerra chimica, qualcuno ravvisa una possibile somiglianza tra le situazioni di Valencia e quelle di Cloverfield. Viene allora deciso che quella storia diventerà 10 Cloverfield Lane film “consanguineo” o “sequel spirituale” (per usare due definizioni di Abrams) del Cloverfield del 2008. Come per il capostipite, anche il primo trailer di 10 Cloverfield Lane viene proiettato prima di un film di Michael Bay (era Transformers nel 2007, 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi nel gennaio 2016), e la Bad Robot riesuma la campagna di marketing virale (aggiornando anche il sito web tagruato.jp) già progettata per il film di Reeves.
Ma cos’è allora il film che in Italia è uscito in pochissime sale e senza nessuna promozione, mentre nel resto del mondo ha già superato abbondantemente i 100 milioni di dollari di incasso? Intanto qualcosa che sfugge a ogni possibilità di catalogazione (è un prequel? Un sequel? Un midquel?), ma è anche un oggetto mutante, capace di cambiare più volte pelle sia in fase embrionale, sia in corso di lavorazione. Come un organismo vivente, il testo di partenza (un kammerspiel politico in forma di B movie che ricorda a tratti Take Shelter di Nichols) si innesta su un testo “altro” (quello del franchise Cloverfield, del quale rispetta stilemi visivi e narrativi) e, con più coerenza e fluidità di quanto si sia disposti ad ammettere, ne genera ancora un terzo capace di includerli entrambi.
Un’operazione spregiudicata ma perfettamente riuscita che, nel suo cinismo da ‘strateghi del marketing” – e le dichiarazioni di Abrams che spiega come “C’erano talmente tanti elementi in comune tra le due sceneggiature che sembrava avessero lo stesso DNA”, sono francamente risibili – sembra spostare sul piano della realtà quell’ossessione da contagio che si respira nel film di Trachtenberg, lasciando presagire un futuro in cui qualsiasi script potrebbe essere ‘attaccato’ dal morbo Cloverfield.
Coinvolta in un incidente stradale, una ragazza finisce in un rifugio insieme a due uomini, uno dei quali sostiene di averle salvato la vita. La donna non ricorda e non sa nulla di ciò che le è successo; inoltre le viene detto che il mondo è ormai un luogo invivibile a causa di un attacco chimico-batteriologico. Lei è comunque decisa a tentare la fuga.