Robert Zemeckis

Benvenuti a Marwen

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Alla base del nuovo film di Robert Zemeckis c’è un documentario, Marwencol di Jeff Malmberg, che nel 2010 ha raccontato la vita dell’artista americano Mark Hogancamp, introducendo il pubblico non specializzato al mondo delle sue creazioni: un mondo in miniatura, costruito nel giardino di una casa nello stato di New York, grazie al quale Hogancamp, fotografando minuziosamente le situazioni che crea con bambole di plastica, ha rielaborato e continua a rielaborare il trauma di una violentissima aggressione fisica che lo ha lasciato quasi senza memoria.

Attraverso un alter ego immaginario, l’aviatore americano della seconda guerra mondiale Capitano Hogie, abbattuto durante un volo sulla campagna belga e salvato dai nazisti da una squadra di abilissime soldatesse, l’artista trasforma la sua tragedia personale in una narrazione eroica: il giardino di casa diventa un mondo pericoloso ma concluso e protetto; gli uomini che lo massacrarono perché lo credevano un omosessuale un plotone di feroci soldati tedeschi; le donne che lo hanno aiutato nella convalescenza (una soldatessa compagna di reparto in ospedale; l’infermiera russa che gli fa visita una volta al mese; la barista con cui lavora saltuariamente; la commessa di un negozio di giocattoli) le sue protettrici abilissime e supersexy (sono tutte Barbie); le sue ossessioni feticistiche (dal travestitismo alle torture) in fantasie infantili e ludiche…

Hogancamp, insomma, come creatore e creazione della sua arte, esiste già come protagonista di una realtà altra e fantasmatica; esiste già, soprattutto, come doppio di se stesso che abita una realtà parallela. Per questo la scelta di Zemeckis di trasformarlo in uno dei tanti personaggi del suo cinema intrappolati fra la vita e la fantasia risuona come ridondante; un pretesto, forse, per usare il cinema, l’animazione a passo uno e la CGI come strumenti che donano materia e movimento all’immaginazione.

È interessante notare come Zemeckis non cerchi nei mondi in miniatura di Hogancamp (ricostruiti per l’occasione) il rigore compositivo e l’ordine archivistico che di norma contraddistinguono l’immaginario legato alle case di bambola. La fissità delle inquadrature di Wes Anderson sulle sue magnifiche e ideali gabbie di legno, per esempio, stanno all’opposto del flusso continuo fra cinema dal vero ed effetto digitale di Benvenuti a Marwen, dove il mondo in CGI non è una semplice proiezione della fantasia ma una surrealtà che sta a fianco del modello originale. Zemeckis crea un altro universo ancora rispetto a quello già duplice di Hogancamp, facendogli però percorrere un tragitto inverso: non dalla vita all’arte, ma, a partire proprio dalle creazioni originali, dall’arte alla vita. Con il cinema a rendere possibile la metamorfosi.

Per Zemeckis un film è da sempre l’occasione per mettere in scena un dialogo fra dimensioni fantasmatiche: la sparizione, l’invisibile, la trasformazione dell’immaterialità in materia (a cominciare dal tempo di Ritorno al futuro, qui immancabilmente citato) nei suoi film sono materia narrativa concreta; forme rese visibili e malleabili dai miracoli della tecnica (analogica prima, digitale poi).

Ciò che rende sterile il mondo di Marwen è la sua pre-esistenza al cinema stesso. Delle installazioni e delle foto di Hogancamp Zemeckis svela il percorso creativo e psicologico, togliendo all'opera d'arte la magia dell'immaginazione e donandole (forse in maniera non richiesta) la completezza della prosa. Se il suo film non diventa del tutto un gioco gratuito e pure un po’ traditore (e se la CGI fosse stata creata per sollevare lo spettatore anche dalla fatica di immaginare?) è perché il circolo vizioso e protettivo che il protagonista crea fra la sua immaginazione e il suo trauma viene interrotto non dalla giustizia (con gli aggressori condannati in tribunale), ma dalle pulsioni feticistiche finalmente liberate e ricondotte a un oggetto che impone un irrinunciabile principio di realtà

Il ritorno alla vita raccontato da Benvenuti a Marwen viene così stabilito narrativamente da due aggiunte che arrivano nel finale e che dunque appartengono a un mondo fuori dal film: il suffisso “–col”, che va a prolungare il nome del luogo immaginario di Hogancamp (nella realtà composto fin da subito dalle sue iniziali e da quelle di due ex fidanzate, nel film generato invece dall’arrivo della vicina di casa Nicol, di cui Mark si innamora), e i tacchi a spillo che Hogancamp, e non Hogie, indossa nell’ultima scena, uscendo idealmente per la prima volta dal suo giardino.

Marwencol, dunque, è il mondo di fantasia di Hogancamp, il segreto della sua seconda vita. Marwen, invece, appartiene solo al film di Zemeckis: perché la vita è là fuori ed è difficile da raccontare, mentre è la morte a fare bello il cinema.

Benvenuti a Marwen
Usa, 2018, 116'
Titolo originale:
Welcome to Marwen
Regia:
Robert Zemeckis
Sceneggiatura:
Robert Zemeckis
Fotografia:
Robert Zemeckis

La storia vera della lotta di un uomo fisicamente e psicologicamente distrutto da una violentissima aggressione fisica. Grazie all’immaginazione artistica l'uomo costruisce nel suo giardino il modello in scala di un villaggio belga durante la Seconda guerra mondiale e poi, facendo interagire al suo interno bambole di plastica in azioni e pose che poi fotografa, inventa storia di avventura attraverso cui elabora il trauma. E poco alla volta ritrova la voglia di vivere. 

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