Mike Mills

C'mon C'mon

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The Soft side of Joaquin Phoenix. Se volessimo condensare il film in un unico sguardo d’insieme, potrebbe essere questa l’esplicita tagline. Tanto era eccessivo, isterico e instabile nell’interpretazione di Joker, tanto Phoenix è misurato, riflessivo e imploso in C’mon C’mon, nel quale fornisce un’ulteriore prova dell’ampiezza della gamma del suo registro d’attore. Il contesto urbano in cui è immerso due anni dopo non è più schizofrenico e screziato al neon, ma placido e soffuso, coerente con una storia di confini osmotici che entrano in contatto per sovrapporsi quasi naturalmente. Perché C’mon C’mon, nella sua estrema semplicità, forse addirittura banalità, è un tenero viaggio di avvicinamento tra uno zio introverso e sfiduciato e l’intraprendente figlio di nove anni della sorella, assentatasi temporaneamente per occuparsi del marito, vittima di un’improvvisa crisi psicotica.

Phoenix e il piccolo Woody Norman (inglese, ma sorprendente nel suo lavoro sull’accento americano, come non si potrà apprezzare nella quasi totalità delle copie distribuite in Italia) sono il veicolo di cui si serve Mike Mills, regista capace ma fin troppo defilato, per far progredire l’eccentrica e perenne seduta psicoanalitica che è il suo cinema, almeno di quello seguito a Thumbsucker – Il succhiapollice. Dopo aver narrato e riflettuto sull’inattesa omosessualità del padre in Beginners e sul matriarcato incarnato dalla madre in Le donne della mia vita, l’autobiografismo cinematografico di Mills questa volta mette a fuoco l’infanzia del figlio Hopper (suppergiù la stessa età del protagonista e figlio anche di Miranda July), ponendosi una serie di domande sugli affetti, sul rapporto dei minori con la società e con il mondo degli adulti, sulle loro aspirazioni rispetto al futuro. Con l’aggiunta di una spruzzata d’ispirazione cinematografica direttamente proveniente dagli anni Settanta ― Alice nelle città di Wenders e Paper Moon di Bogdanovich ― da cui trae modelli narrativi, cromatismi e relazione tra le figure, nonostante Phoenix sia certamente più intenso di Rüdiger Vogler e meno scanzonato di Ryan O’Neal.

C’mon C’mon è il film realizzato da un padre che dissimula le sue preoccupazioni, ponendosi in prospettiva ed evitando di cadere nel facile stereotipo narrativo delle distanze e delle incomprensioni da erodere affinché i personaggi possano godere l’un l’altro di vicendevole fiducia. Il film invece mostra una grazia tenue, sospesa e impalpabile, frutto del bianco e nero sfumato di Robbie Ryan, capace di esaltare tutta la scala dei mezzi toni, e della simpatia dei due protagonisti, pronti a scoprirsi progressivamente, cercando di comprendersi nella loro umanità e in funzione delle loro peculiarità, prima ancora che in relazione al loro grado di parentela. In questo senso, il film utilizza l’infanzia attraverso una funzione dialettica che si fa specchio e rivelazione dell’età adulta: il depresso zio Johnny interpretato da Phoenix compie un duplice percorso, intimo (con il nipote) e professionale (tramite le interviste ai minori che compie di città in città come giornalista radiofonico), per riuscire a riconciliarsi con se stesso dopo il trauma patito alla morte della madre e il conseguente distacco dalla sorella, dovuto essenzialmente a una nolontà schopenhaueriana. È il pieno di speranza, ingenuità e ottimismo acritico verso il futuro proprio dell’infanzia a scardinare le sovrastrutture condizionanti di cui è vittima l’individuo, chiuso nei ritmi inderogabili di una quotidianità che scade a sua volta nella solitudine affettiva. Mills, con il suo sguardo, opera una sorta di rack focus sul tema da cui emerge un ritratto composito degli adulti visto attraverso la progressiva messa a fuoco delle opinioni e delle idee dell’universo infantile, solitamente irriducibile perché inespresso o considerato unicamente rispetto ai bisogni che gli adulti pensano di comprendere e di poter gestire.

Com’è ovvio in questi casi, la sceneggiatura di Mills è tutta improntata alla permuta tra i personaggi. Uno scambio che è assorbimento, che diventa affetto e si sostanzia attraverso il timore della responsabilità, dell’incombenza educativa, del livellarsi sviluppando il dialogo e il gioco, anche quando appare assurdo, ai limiti del macabro o del patologico. Il merito della scrittura risiede nel suo grande equilibrio, nella sensibilità di interrompere al momento opportuno la situazione troppo melodrammatica con un risvolto puerile o, al contrario, nel ribaltare l’eccesso di quest’ultimo con la malinconia sottesa costantemente sotto la superficie degli eventi.

Anche l’altrettanto prevedibile cliché del viaggio, da sempre impalcatura privilegiata nei percorsi di formazione (e avvicinamento fra le parti), possiede in realtà un’angolazione raffinata e rivelatrice, perché i trasferimenti del protagonista sulle tracce dei minori da intervistare seguono una traiettoria che va da Detroit a Los Angeles, passando da New York e New Orleans, mete lungo i quattro punti cardinali della nazione che rendono possibile leggere il film come un’intensa immersione all’interno delle considerazioni, dei sogni e delle aspirazioni di un campione assolutamente rappresentativo dell’infanzia americana lungo tutta la superficie del paese.


 

C'mon C'mon
Stati Uniti, 2021, 109'
Titolo originale:
C'mon C'mon
Regia:
Mike Mills
Sceneggiatura:
Mike Mills
Fotografia:
Robbie Ryan
Montaggio:
Jennifer Vecchiarello
Musica:
Aaron Dessner, Bryce Dessner
Cast:
Joaquin Phoenix, Gaby Hoffmann, Woody Norman, Scoot McNairy, Molly Webster, Jaboukie Young-White, Deborah Strang, Sunni Patterson, Sunni Patterson
Produzione:
A24
Distribuzione:
Notorious Pictures

Johnny è un produttore radiofonico che gira di città in città intervistando i bambini sulle loro speranze e i loro sogni. Un giorno viene chiamato dalla sorella Viv, che non sentiva da tempo, per aiutarla con suo figlio Jesse di 9 anni mentre lei deve prendersi cura del marito affetto da disturbo bipolare. Non abituato a gestire bambini, Johnny decide di portare il nipote in viaggio con sé per lavoro, da New York alle periferie degli stati del sud. Grazie a questo viaggio ed al confronto con la realtà quotidiana, nascerà tra i due un legame profondo e inaspettato, capace di cambiarli per sempre.

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