Pedro Costa

Cavallo denaro di Pedro Costa

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«Il tempo», scrive Aristotele, «è il numero del movimento secondo il prima e il poi». Questo, aggiunge il filosofo, è possibile solo se una coscienza prende atto della successione numerica, se la ordina secondo un criterio logico e lineare, riferito al vivere, al proprio trascorrere.

In Cavallo Denaro, ultimo lungometraggio del portoghese Pedro Costa, vincitore del Pardo per la miglior regia al Festival del Film di Locarno 2014, il tempo si arresta sull’eternità del presente. Non c’è nessun prima e nessun poi per Ventura, manovale in pensione e immigrato capoverdiano alla periferia di Lisbona che, all’indomani della Rivoluzione dei garofani nel 1974, vaga in un non-luogo polimorfo in grado di assumere, di volta in volta, i caratteri di un ospedale psichiatrico, una foresta labirintica, una catacomba romana.

Nonostante l’età avanzata, Ventura confessa ai medici di aver diciannove anni e durante la talking cure emerge come il suo sia il racconto di un corpo a cui è stata negata ogni soggettività: fuggito dalla povertà delle ex colonie portoghesi in Africa, Ventura è l’immagine di un’umanità abbandonata ed esclusa. Per questo sembra un fantasma, un essere volubile e indecifrabile che vaga tra i relitti della propria storia, senza meta, tormentato da sussurri demoniaci e da persone incapaci di liberarsi dalla prigione dell’attesa di un futuro migliore.

Prima ancora di essere un protagonista, un attore e un’anima disperata, Ventura è soprattutto un corpo. Un corpo che ha perso la consapevolezza di abitare una coscienza (ritrovandosi perciò in un presente eterno e lineare), ma che, grazie al proprio essere-corporeo, mantiene la memoria somatica dell’esistenza e ne vive i traumi. Ventura convive con l’evanescenza della memoria e con un incessante tremolio delle mani, che solo in rari momenti estatici riesce a controllare. Il tremolio deturpa e sconquassa la stabilità del corpo, evidenziando come al rimosso non serva la memoria per essere riconoscibile: malgrado la dimenticanza, il rimosso agisce sul corpo, sull’eterno presente dell’esistenza, rivelando il primato della sofferenza. La malattia, dopotutto, nient’altro è che la morte dell’anima, destino tragico affrontato dagli immigrati africani costretti a lavorare in condizioni di estrema povertà: «continueremo a essere tranciati dalle macchine, con lo stesso male in testa e nei polmoni; siamo sempre vissuti e morti così, è questa la nostra malattia» dicono alcuni compagni di Ventura. E lui non sembra capire la narrazione dei colleghi, appare trasportato in un altrove indecifrabile. Eppure le sue mani tremano, tremano incessantemente.

La regia di Pedro Costa si muove in questa direzione, nell’enfatizzazione del corpo e della sua mortalità; sul corpo inteso come percezione incarnata all’immagine, sviluppandone la superficie comunicativa e percettiva. È così che, oltre all’uso caravaggesco del chiaroscuro, enfatizza la dimenticanza e la corporeità attraverso il primo piano. E il volto di Ventura, tolto da ogni coordinata spazio-temporale, diventa astrazione polisemica dell’Umanità stessa: un’umanità che vive e muore con lui, che tenta di rimuovere ogni differenza, di nascondere la sopraffazione, la povertà, le rivoluzioni non concesse.

In Cavallo denaro il tentativo di privilegiare il corpo e la percezione corporea modifica anche la dimensione sonora. Se il suono il compito di stabilizzare concretamente e simbolicamente il corpo nello spazio, di fornire una tridimensionalità ontologica all’essere, Pedro Costa fa l’esatto opposto: priva cioè le voci e i suoni di un soggetto, le moltiplica e snatura le percezioni sonore. Ventura è pura materia, puro corpo privato anche della dimensione sonora (antitesi grottesca alla talking cure a cui viene sottoposto nella clinica); un corpo essenziale, senza tono, che vaga in uno spazio-tempo indistinto, tra luci e ombre che non ne permettono mai una precisa collocazione o una sua completa visione.

Cavallo denaro
Portogallo, 2014, 104'
Titolo originale:
Cavalo Dinheiro
Regia:
Pedro Costa
Sceneggiatura:
Pedro Costa
Fotografia:
Leonardo Simões
Cast:
Antonio Santos, Tito Furtado, Ventura, Vitalina Varela
Produzione:
Sociedade Óptica Técnica

Un'odissea affascinante nella realtà e nei ricordi da incubo dell'anziano Ventura, un immigrato capoverdiano che vive a Lisbona.

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