Fin dal titolo appare chiaro che i protagonisti del documentario di Daniele Vicari saranno due: Fela Kuti - già per altro altro al centro di vari altri documentari tra cui il celebre Finding Fela del premio Oscar Alex Gibney - e un’istanza narrante pronta a diventare soggetto del film stesso oltre che personaggio. La voce del titolo è infatti quella di Michele Avantario, regista e animatore musicale, partito dalla Puglia negli anni Settanta per studiare, conoscere, fare esperienza prima in Inghilterra poi a Milano e ancora a Roma occupandosi di videoarte, tv, pubblicità e sopratutto musica. Quando Avantario si imbatte quasi per caso nella carismatica figura del musicista nigeriano intuisce subito di essere di fronte a un’entità che diventa per lui una sorta di richiamo magnetico e irresistibile. Da lì inizia una storia di fascinazione, amicizia, culto ma anche ricerca - spirituale e materiale - che Vicari decide di raccontare mettendo insieme una enormità di documenti d’archivio.
Cosi, muovendosi tra le immagini dell’archivio privato di Avantario, soprattutto quelle da lui girate nei tanti anni trascorsi in un andirivieni continuo tra Roma e Kalakuta, la comunità fondata da Fela Kuti alle porte di Lagos, e i materiali dell’archivio del Movimento Operaio, di Luce Cinecittà, delle Teche Rai e ancora recuperando pezzi di vita famigliare negli home movies e di vita televisiva e cinematografica dalle produzioni, Vicari racconta in modo diretto e vitale, mai didascalico, di un’Italia alle prese con il reflusso, del passaggio dall’analogico al digitale, della sperimentazione, della ricerca di una nuova dimensione espressiva ma anche esistenziale e di un multiculturalismo che scompostamente arrivava anche nel nostro Paese.
Tenendosi stretta l’umanità di un approccio tanto curioso quanto affettuoso, Vicari trova una storia singolare e misconosciuta da raccontare e sceglie di farlo quasi mettendosi a dialogare con il suo stesso protagonista intorno a ciò che il padre dell’afrobeat ha rappresentato per lui ancora più che per il mondo intero. Un dialogo che suona più come la lettura di un diario che come un confronto, una lettura personale, amichevole in cui gli sguardi si mescolano mentre domina su tutto la narrazione in prima persona che consegna alla voce di Claudio Santamaria le parole di Michele. Con il beneplacito dalla moglie Renata, Vicari sembra - quasi timidamente - aprire questo diario fatto di parole, di immagini, di suoni presenti e mancanti (come quella banda sonora sparita dalle bobine ritrovate di Black President, il film perduto su Fela), di incursioni, di nomi, di riti, di droghe, di politica mettendosi avidamente a leggerlo e a ripensarlo per raccontare, finalmente, la sua bizzarra odissea. Ma non solo. Questo personaggio al contempo inquieto ed entusiasta diventa anche una lente - talvolta scheggiata ma sempre sincera - attraverso la quale risalire a un pezzo della storia recente del nostro Paese per provare a capire qualcosa della complessità dell’oggi. Un paesaggio che comincia a muoversi, nel quale la musica e le immagini migrano più rapidamente di prima da un luogo all’altro, da una cultura a un’altra, da un formato all’altro. Una mobilità nuova che Vicari coglie e chiama in causa anche per mostrare la possibilità di un ribaltamento del nostro sguardo occidentale e post-coloniale sul continente africano. Quello nel quale sta anche la Nigeria di Fela sulla quale Michele Avantario è riuscito a portare il suo sguardo libero, in un certo senso davvero rivoluzionario: lo sguardo che gli ha permesso di entrare in quella intimità unica con il “dio vivente” che il film racconta ma che rappresenta anche - concretamente nella lettura di Vicari - l’idea di un’apertura mentale e culturale alla quale si dovrebbe guardare oggi con grande attenzione.
Primi anni ’80. Un giovane regista, Michele Avantario, incontra il grande musicista e rivoluzionario nigeriano Fela Kuti e da quel momento dedica la sua vita alla realizzazione di un film interpretato dallo stesso Fela. Non ci riuscirà mai, ma scoprirà qualcosa di più importante per lui: una nuova idea di esistenza.