Robert Rodriguez

Hypnotic

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Non sempre la metafora dell’occhio è un’ingiunzione ad alzare la soglia dell’attenzione rispetto a ciò che le immagini mostrano, come fu in Avatar, ad esempio. Talvolta, invece, la volontà è di sfruttare la consueta equazione per puntare beffardamente a portare fuori strada il pubblico. A spiazzarlo, o perlomeno a tentare di farlo. Come in questo caso. Iniziare il film sul particolare di un occhio che si apre dopo una seduta psicanalitica dovrebbe fornire le coordinate di lettura simbolica di ciò che seguirà, un consiglio allo spettatore sull’atto forte che caratterizzerà tutto il film, e invece, in Hypnotic, ultimo lavoro di Robert Rodriguez, uscito qua in Italia in un’anonima settimana di inizio estate, è la sua esatta negazione.

In Hypnotic, infatti, vedere serve relativamente, se non a rimanere intrappolati in una rete percettiva che nel corso della storia sarà completamente ribaltata, senza aggiungere molto di più per evitare di punire con lo spoiler i pochi coraggiosi che in questo periodo infausto per la visione cinematografica si chiuderanno un’oretta e mezza in una sala per guardarlo. Assecondando un’idea vecchia di almeno vent’anni, e che forse vent’anni fa poteva essere considerata non ancora così sfruttata, Rodriguez coglie l’occasione di riunire la sua numerosa famiglia (il figlio Rebel è l’autore della colonna sonora, l’altro figlio Racer co-produce) per raccontare la sparizione nel nulla di una bambina, sottratta al padre detective mentre si trovavano in un parco pubblico, e il mistero che a distanza di anni si ripresenta per il tortuoso rinvenimento di una fotografia formato polaroid con il nome del principale sospettato del rapimento. Perlomeno apparentemente. Perché nel gioco delle apparenze, il film è proposto inizialmente come un mystery dalle atmosfere soffocanti, quasi tutte ristrette e oscure, e modulate attraverso una gamma cromatica pressoché obbligata, oscillante tra l’ocra appiccicaticcio, il tormento del rosso e la malata acidità del verde; salvo poi capovolgersi in una stilizzata scarnificazione e virare nei capienti territori fanta-thriller-action, in cui la presunta realtà mette ripetutamente in discussione se stessa, malgrado la sceneggiatura (di Rodriguez e del Max Boreinstein di Godzilla e della serie tv The Terror) faccia di tutto, ma proprio di tutto, per non lasciare indietro anche il pubblico più disattento.

Rodriguez decide di lavorare in negativo, sui vuoti invece che sui pieni, per cui tutto è mostrato senza avere alcun aggancio logico e se il gioco si prende troppo sul serio nella prima parte, il rischio è il rifiuto totale nella parte successiva. L’occhio che si apre nella prima inquadratura, e che tornerà in altre due occasioni con dinamiche simili, è un invito alla condivisione della stessa prospettiva del protagonista, non un monito alla corretta lettura della vicenda. La visione, nel film, non ha nessun portato cognitivo, perché da essa non dipende la comprensione, ma è induzione allo smarrimento, tentativo di stimolare nell’irrazionalità inspiegabile la ragione d’origine del tutto. In quest’ottica operano anche i flashback indotti, nell’era del deep fake (e dopo tutte le crisi percettive precedenti) non più portatori di sdegno come fu per il povero Hitchcock di Paura in palcoscenico, ma ulteriore veicolo per produrre un cumulo enorme di false piste pronte al successivo ribaltamento. La sostanza di Hypnotic è evanescente, fondata sull’assenza (non solo della bambina) e sull’inconsistenza, sul buco percettivo che si trasforma in motore del racconto. La sparizione stessa della bambina, l’origine di tutto, nasce dalla banale sostituzione di un’inquadratura, quella decisiva, che dovrebbe mostrare l’atto del rapimento, con un’altra su alcune girandole che attirano l’attenzione del padre, e che sono da leggere come sostituzione della realtà con la sua visione in soggettiva. Laddove la soggettiva è sempre visione fallace, falla dell’intero sistema.

Si tratta di un enorme gioco a cui si chiede di partecipare senza porsi domande critiche che svelino l’artificiosa struttura su cui la storia è edificata e di cui il film stesso, alla lunga, rimane vittima. Perché, letteralmente, quando si manifesta l’artificio, la struttura rimane spoglia. Visto così, il «costrutto ipnotico» di cui si parla nel film potrebbe essere metaforicamente assimilato all’attualità di un cinema soverchiato dagli scenari CGI aggiunti in postproduzione, che Rodriguez conosce bene già dai tempi di Sin City, diciotto anni fa. E come gioco è a tratti anche apprezzabile, soprattutto nella prima parte, quando si forniscono le premesse enigmatiche che poi sbanderanno più volte in seguito, soprattutto per effetto di dialoghi che banalizzano nella forma lo sforzo di guidare costantemente lo spettatore e nella ormai proverbiale incapacità di Ben Affleck di proporre le espressioni giuste quando non ha battute di dialogo. Un gioco però già visto in un sacco di lavori precedenti: ogni scena e ogni scelta rinviano a qualcos’altro senza che si palesi l’intenzione dell’omaggio. La lista è vastissima e ognuno può allungarla come crede meglio, ma Inception, Matrix e Fenomeni paranormali incontrollabili (almeno) sono monumenti indicativi di un preciso immaginario, così celebri da non richiedere neanche la presenza di un raffinato cinefilo per scorgere l’identico materiale visto in questo film.


 

Hypnotic
Stati Uniti, 2023, 93'
Titolo originale:
id.
Regia:
Robert Rodriguez
Sceneggiatura:
Robert Rodriguez, Max Borenstein
Fotografia:
Pablo Berron, Robert Rodriguez
Montaggio:
Robert Rodriguez
Musica:
Rebel Rodriguez
Cast:
Ben Affleck, Alice Braga, JD Pardo, Dayo Okeniyi, Jeff Fahey, Jackie Earle Haley, William Fichtner, Zane Holtz
Produzione:
Blue Rider Pictures
Distribuzione:
01 Distribution

L'ispettore Danny Rourke indaga su un mistero che coinvolge la figlia scomparsa e un programma segreto del governo.

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