Come in un musical, il regista cinese Diao Yinan allestisce le scene del suo nuovo noir metropolitano giocando con gli elementi espressivi del cinema: gli spazi, le luci, le forme, il movimento. Le scene d’azione e di violenza di Il lago delle oche selvatiche sono numeri coreografati e spesso esaltanti, idee che si susseguono in maniera inarrestabile e quasi pedante: numeri con la pioggia, con le ombre, con il buio, con le luci al neon, con gli oggetti (un muletto, un ombrello, un pistola artigianale); sequenze costruite con il montaggio alternato, singole scene che rimano fra loro ribadendo a più riprese una circolarità e un’interscambiabilità di situazioni e personaggi.
La storia è esile, quasi un pretesto: un criminale in fuga, braccato dopo aver ucciso per sbaglio un poliziotto durante un regolamento di conti fra bande di ladri di motociclette, decide di farsi denunciare dalla moglie per farle riscuotere la taglia sulla sua testa; al posto della sua donna, però, all’appuntamento fissato si presenta una sconosciuta, una “bagnante” che lavora come prostituta sulle spiagge del Lago delle oche e che lo aiuta a mettersi in salvo dalla polizia. Tutto comincia dunque a partire da un abbaglio, in una storia di fuga e di accerchiamento in cui ogni figura è sostituita o potenzialmente sostituibile (a cominciare dalle due donne del protagonista, per finire con le squadre di polizia il cui movimento in branco è identico a quello delle bande di ladri) e in cui il vero punto d’interesse sono gli spazi della Cina contemporanea.
Dopo Fuochi d’artificio in pieno giorno, vincitore a Berlino cinque anni fa, Diao Yinan, al suo quinto lungometraggio, svela ancora una volta un talento fuori dal comune nell’uso della profondità di campo e nel cogliere il legame fra i personaggi e l'ambiente (là erano le miniere di carbone e una città in pieno inverno, qui una cittadina lacustre e lunghe notte piovose), con la caccia al fuggitivo che si dispiega nei mercati, nei cortili, nei palazzi e nelle stazioni di una provincia cinese brulicante di lavoro, corruzione e movimento.
Non essendo Jia Zhang-ke, Diao Yinan non insiste sulle contraddizioni sociali del suo paese, ma le mette a lato del suo film, o meglio ne fa il fondale vivo di una rappresentazione collettiva che coinvolge un intero popolo. Ruoli e funzioni non a caso si mescolano e si ribaltano di continuo, lasciando al cinema il compito – un po’ manierato a dire il vero – di far emergere con tutti i mezzi a disposizione la trama criminale. È gratuito sì, ma bellissimo da vedere.
Zhou esce dal carcere e finisce immediatamente in una violenta contesa tra gang che si conclude con l'uccisione di un poliziotto. Braccato dalla legge e dai rivali, è costretto a fidarsi di una prostituta, Liu, forse innamorata di lui.