Christopher McQuarrie

Mission: Impossible - Dead Reckoning - Parte 1

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Due sono le scene che mi hanno colpito in modo particolare.

La prima è questa. Durante il briefing di Kittridge (Henry Czerny) con i membri del consiglio di sicurezza e delle intelligence agency diretto da Denlinger (Cary Elwes) in cui si valutano i possibili effetti dell’Entità, un uomo con una valigetta giunge nella stanza dopo avere attraversato senza problemi i controlli e l’enorme ambiente degli “impiegati” al lavoro. I fitti dialoghi non si interrompono: l’uomo entra e silenzioso si stabilisce a lato della porta e a ridosso della parete senza che nessuno dei presenti spenda su di lui neppure un’occhiata, soltanto due guardie gli rivolgono lo sguardo, una di loro sbirciando l’orologio come a evidenziarne il ritardo. Non ci sono battute d’arresto, la riunione prosegue ancora per molto. L’uomo rimane nella sua posizione. Diamo per scontato fosse atteso, probabilmente uno dello staff. Passano quasi cinque minuti senza che non accada nulla. Poi l’uomo apre la valigetta, estrae una piccola scatola e la porge a Kittridge, che la prende tra le mani un po’ sorpreso ma senza manifestare sospetti. Diamo ancora qualcosa per scontato: che Kittridge conosca lo sconosciuto, e che anzi faccia parte del suo team. Passano ancora alcuni istanti prima che Kittridge si decida ad aprire la scatola, mentre peraltro la riunione continua ininterrotta. Alle spalle di Kittridge, l’uomo – fuori fuoco - traffica con il contenuto della valigetta. Dentro la scatola, un oggetto strano, qualcosa che somiglia a un binocolo, anzi no, forse un paio d’occhiali spessi a forma di maschera da sub. Kittridge osserva ora l’uomo per la prima volta con perplessità. Stacco: l’uomo indossa un paio di occhiali scuri e sulla bocca lo stesso modello di maschera. In mano, tre palline nere. Kittridge coglie il pericolo e fa come lui, indossa la maschera sulla bocca nell’istante stesso in cui l’uomo lancia per aria le palline: un gas verde inonda la stanza. Sono tutti a terra, narcotizzati. L’uomo si svela a Kittridge: è in verità Ethan Hunt, che indossa una delle sue celebri identità (per la cronaca, l’attore che interpreta lo sconosciuto è Marcello Walton).

La seconda scena è questa. Nel tentativo di risalire le carrozze dell’Orient Express in bilico sul vuoto, e mentre le stesse precipitano una a una rispondendo alla forza di gravità, Ethan e Grace (Hayley Atwell) sono costretti ad attraversare - via via sempre più in verticale - la carrozza-cucina. Percorso ostico, gli oggetti cadono e diventano ostacoli: Ethan si aggrappa a una planetaria, le pentole e i cocci dei piatti rotti gli intralciano le gambe, i numerosi fuochi dei piani cottura sono accesi, sul pavimento rotolano arance e pere e il contenuto non meglio identificato di qualcosa che bolle si rovescia del tutto rendendo la superficie estremamente scivolosa, il tubo del gas si rompe, sul pavimento si riversa anche l’olio bollente delle friggitrici, Ethan e Grace slittano appigliandosi a maniglie e pensili, il fuoco aumenta e invade la carrozza, c’è un’esplosione nel momento in cui Ethan e Grace saltano sulla carrozza precedente, quella ristorante, mentre la carrozza-cucina precipita definitivamente. Ethan e Grace sono salvi. Almeno fino a quando la gravità non agisce ancora, facendo volare tavoli, piatti, bicchieri, tovaglie e sedie, che intasano infine l’uscita agevolando con il loro peso la caduta della carrozza. Ethan e Grace saltano ancora una volta sulla carrozza precedente, una zona relax di prestigio, il meccanismo si ripete, la gravità smonta il mobilio, Ethan e Grace si appendono a barre di ottone mentre sopra di loro la minaccia è stavolta rappresentata da un pianoforte a coda, che trancia la sua cinghia di sicurezza crollando e sfondando l’intera parete inferiore della carrozza. Ethan e Grace sono di nuovo sospesi sul vuoto. E via così.

Sì, è chiaro, in questo nuovo (il settimo, diviso in due parti) capitolo della serie di Mission: Impossible l’analogico fa a pugni con un cattivo che non c’era, una entity come nell’horror eponimo di Sidney J. Furie ma dalle implicazioni apocalittico-globali. Tuttavia il carattere vintage non funge da semplice anacronismo in un immaginario – e in un mondo – ipertecnologico. A determinare l’identità del film, che non è una nessuna centomila come quella di Hunt bensì una soltanto, e precisa, è tanto lo stile quanto la sicurezza degli oggetti. E ciò è quantomeno curioso, in un blockbuster dove la firma sembra ininfluente e interscambiabile, il villain è un concetto algoritmico e la meraviglia appare un fine ricercato a suon di stunt in prima persona da guinness dei primati. Prendete la prima scena descritta poc’anzi. Non c’è mai stata una scena simile in tutta la serie. Che più volte ha riarticolato lo spy movie in funzione prevalentemente autoriale (i primi due episodi) o culturale (gli altri), al netto del Cruise touch e della sua icona divistica. È un lungo momento (cronometratelo!) di purissima suspense hitchcockiana durante il quale lo spettatore percepisce che c’è un pericolo, benché non ne conosca veramente i dettagli, mentre i personaggi no, non ne hanno coscienza. Lo sconosciuto è sfruttato da MacGuffin, non la sua valigetta. Un uomo, non un’idea. In questo caso la forma è neutra, nessun pan-focus, l’inquadratura in 2.39:1 è utilizzata banalmente con i volti che la riempiono. Una scena consueta in cui si discute qualcosa di eccezionale, la possibile fine del mondo. Una scena, appunto, banale. Vintage o analogica poco importa. Importa che ne risulta un carattere identitario basico, credibile, a suo modo romantico, ma di un romanticismo cinematografico, fuori scala, almeno da questa scala di proporzioni. Provate a contare quante volte Ethan corre a perdifiato contro il tempo, per fuggire, per scongiurare una morte. Corre e basta, non salta con la moto, non in parapendio, non sul tetto di un treno in piena velocità. Proprio lui, che entra in scena come un Kurtz qualsiasi (Federico Gironi), dal buio pesto, e che non è esclusivamente un mentalista mutaforma incarnazione del caos ma un vampiro, così viene anche apostrofato, una creatura che non dorme, neanche di giorno. Una creatura d’altri tempi. Di un mondo non analogico, non vintage, direi arcaico. In questo senso sì che Ethan Hunt è lo specchio perfetto del suo film.

Un film che a dispetto della sua geografia turistica e dei suoi belvedere usa l’ingombro come il solo, reale impedimento tra l’individuo e la conquista (l’occupazione) del suo spazio. I luoghi di Mission: Impossible – Dead Reckoning sono ostruiti dalla materia, a partire dalla sabbia della tempesta in Namibia. Altro che l’immaterialità dell’Entità. Nella seconda scena descritta a Ethan è chiesto di sconfiggere la banalità (precisamente) di uno scenario di routine. La banalità degli oggetti. La loro comune e iperrealistica presenza. Piatti. Olio. Cibo. Tavoli. Tutto cambia improvvisamente faccia. Tutto è contrattempo. Impiccio. Ethan come Jerry Lewis in Dove vai sono guai!, in cui peraltro anche il comico restava in bilico sul vuoto per riverniciare il pomello del pennone al nono piano dei grandi magazzini. Un passo prima dello slapstick, però: per Ethan gli oggetti non sono degli estemporanei mostri da domare come per Jerry Lewis, sono piuttosto una madeleine. Il ricordo che in mezzo a tutto questo, in mezzo a una realtà sfuggita di mano e mai più riconoscibile, la consistenza può fare ancora la differenza. Il volume, non l’assenza del medesimo. Un’arancia. Il contenuto bollente di una pentola. Anche un’auto, perché no: infatti la Cinquecento gialla a Roma sembra a un certo punto impazzire e girare vorticosamente su sé stessa, come per vita propria, come un oggetto di Brividi di Stephen King, dove le cose mettevano sotto assedio l’umana specie. Ethan riscopre le forme, le misure, gli ingombri, e riscopre anche che è chiamato a riregistrare tutto. Riacquisirne la consapevolezza. Riprendere “in mano” l’oggetto e superarlo. Non è un’azione di guerra come per Lewis e King: è un atto di sensibilità e di discernimento. Un atto fuori dal tempo, démodé. Da gentiluomini. Un gesto leale nei confronti del mondo. Di questo mondo qua, tra entity e stunt spericolati. Questo nuovo Ethan Hunt e Tom Cruise, se non sconfessano, perlomeno ridimensionano David Thomson, quando scrive che “l’industria, con tutto il suo potere finanziario, non fu mai in grado di controllare la tecnologia, che invece arrivava sempre per prima, fin dagli albori del cinema, cogliendo di sorpresa i cervelli della finanza che non sapevano metterla a frutto”: Ethan la tecnologia già la controlla(va), ora il problema è riqualificare e riordinare il corpo delle cose. D’altronde si spendono centosessanta minuti all’inseguimento di una chiave. Una chiave che ha le fattezze di una chiave. Più banale di così.


 

Mission: Impossible - Dead Reckoning - Parte 1
Stati Uniti, 2023, 163'
Titolo originale:
Mission: Impossible - Dead Reckoning Part One
Regia:
Christopher McQuarrie
Sceneggiatura:
Erik Jendresen, Christopher McQuarrie
Fotografia:
Fraser Taggart
Montaggio:
Eddie Hamilton
Musica:
Lorne Balfe
Cast:
Tom Cruise, Hayley Atwell, Ving Rhames, Simon Pegg, Rebecca Ferguson, Vanessa Kirby, Esai Morales, Pom Klementieff, Henry Czerny
Produzione:
Paramount Pictures
Distribuzione:
Eagle Pictures

Ethan Hunt e la sua squadra dell'IMF si trovano di fronte a una nuova sfida: trovare e disinnescare una terrificante arma che minaccia l'intera umanità. Con il destino del mondo e il controllo del futuro appesi a un filo, la squadra inizierà una frenetica missione in tutto il mondo, per impedire che l’arma cada nelle mani sbagliate. Messo di fronte a un nemico misterioso e onnipotente, tormentato da forze oscure del passato, Ethan sarà costretto a decidere se sacrificare tutto per questa missione, comprese le vite di coloro che gli stanno più a cuore.

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