Con uno stile sobrio e pacato, i film di Mikhaël Hers presentano tutti uno sviluppo simile. Si concentrano sulle reazioni dei personaggi in funzione di un evento, spesso drammatico, in grado di fungere da detonatore dei sentimenti e delle varie personalità. In Questo sentimento estivo (2015) e in Quel giorno d’estate (2018) era una morte dolorosa che obbligava un fidanzato e un fratello a rivedere i rispettivi progetti di vita. Qua è la comparsa di una giovane senza fissa dimora, Talulah, ospitata da una donna ferita nei sentimenti dal recente abbandono del marito e con due figli adolescenti a carico.
È attorno alla figura di questa ragazza fragile, affascinante nel suo essere impalpabile (Talulah è il suo vero nome? Qual è il suo passato? Perché una scelta di vita tanto drastica?) che s’irradiano le reazioni degli altri protagonisti del film, soprattutto quelle di Elisabeth (Charlotte Gainsbourg), la donna che decide di accoglierla in casa sulla base di un’impressione, e del figlio Mathias, che s’innamora di lei. Talulah (Noée Abita), tuttavia, è solo il mezzo, la scintilla di passioni differenti che appaiono sempre misurate, quasi implose, provate e subito frustrate, per una sorta di timore esistenziale che la moderazione stilistica di Hers sottolinea concentrandosi su momenti quotidiani, tutt’altro che drammatici, forse addirittura inessenziali, ma su cui si imprime in maniera riflessa la gioia o, di contro, il dolore provato altrove.
Talulah incarna, da un lato, la delicatezza estemporanea di un desiderio adolescenziale, dall’altro, il bisogno di sentirsi ancora utile per la propria famiglia, dopo la separazione e la progressiva crescita dei propri figli. Ma Talulah rappresenta solo l’innesco, il motore dell’intera narrazione è Elisabeth. È su di lei che si poggia completamente il film, sul suo complesso lavoro di ricostruzione come donna e come madre dopo l’abbandono, sul suo tentativo di raggiungere un’indipendenza economica a dispetto del nuovo moderno appartamento con vista prodigiosa sulla Parigi del XV arrondissement, e malgrado tutti i momenti di sconforto. Charlotte Gainsbourg riesce a modulare l’intera complessità degli stati d’animo, toccando vari registri e una vasta gamma di espressione, dallo smarrimento alla sensazione incipiente di fallimento, dal successivo spirito d’iniziativa all’orgoglio della riuscita, ammantando tutto di una rara umanità e di una premiante disposizione all’apertura dei sentimenti. Laddove le immagini si limitano troppe spesso a illustrare, è lei a fornire quel quid drammatico altrimenti assente.
La mano di Hers è discreta, forse troppo, suggerisce più che tratteggiare. Struttura la narrazione in due grossi blocchi più un prologo, facendoli coincidere con l’elezione e il primo settennato di François Mitterrand, lungo quasi tutti gli anni Ottanta. Un periodo di passaggio che si ripercuote sul destino dei personaggi, sul loro percorso di crescita e di riscatto, sulla loro educazione o rieducazione (nel caso di Elisabeth) sentimentale. Parallelamente, s’ineriscono le altre tracce metaforiche, altrettanto flebili, appena accennate, come quella di una squadra nazionale di calcio, ancora a digiuno di vittorie, vista in televisione contro l’Austria in un match amichevole giocato nella primavera dell’anno che avrebbe condotto alla prima vittoria internazionale della sua (poi gloriosa) storia calcistica. È una storia, quella di Passeggeri della notte, di gemme che fioriscono, di prime volte e di ritorni che ne hanno la pienezza del sapore; è un film dal rilascio lento, una di quelle pellicole che arrivano dopo, come dice a un certo punto Talulah a proposito del film feticcio Le notti della luna piena, che i protagonisti vedono in una sala parigina e il quale, a sua volta, crea un parallelismo tra la fragilità della stessa Talulah e quella della sfortunata protagonista del film di Rohmer, Pascale Ogier, scomparsa poco tempo dopo le riprese per un arresto cardiaco a soli venticinque anni (e vista anche nelle immagini di Le pont du nord di Rivette, qualche sequenza dopo, in cui la stessa Ogier interpreta una ragazza senza fissa dimora, proprio come Talulah).
Hers, inoltre, mostra anche una certa coerenza nel rendere simbolici i luoghi ricorrenti delle sue storie, secondo uno schema elementare e piuttosto prevedibile visto già in precedenza nei suoi film, in virtù del quale gli appartamenti (quello di Elisabeth e dei figli), il sottotetto (in cui è ospitata Talulah), la stanza da letto del neofidanzato di Elisabeth Hugo e l’austero studio di Radio France entrano in una relazione dialettica con i personaggi, puntando a significare ulteriormente i loro mutamenti di stato. Elementi sensibili che valorizzano una messa in scena essenziale, concentrata sugli individui calati in specifici ambienti, alla perenne ricerca di un equilibrio possibile. Una ricerca che però spesso lascia lo spettatore distaccato, perché troppo esterna per creare immedesimazione, troppo oggettiva per essere anche coinvolgente.
Parigi, anni Ottanta. Una donna inizia a lavorare in un programma radiofonico notturno per mantenere la propria famiglia. Incontrerà una ragazza dal passato difficile che deciderà di prendere sotto la sua ala protettrice.