Chie Hayakawa

Plan 75

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In Giappone gli over 65 costituiscono quasi il trenta per cento di una popolazione che, per sovrappiù, possiede il più alto numero di ultracentenari al mondo. Per contro, il tasso di fertilità – al 2020 – è precipitato al record negativo di 1,34 figli per donna. Senza contare che l’età media della popolazione è tra le più alte del mondo e l’aspettativa di vita continua a crescere.

Ecco, quindi, che nel suo episodio per il film collettivo Jū-nen: Ten Years Japan (2018), la regista Chie Hayakawa immagina un futuro prossimo dove il governo emana un programma di supporto e assistenza chiamato Plan 75 e destinato a chi, raggiunto il settantacinquesimo anno d’età, decida di ricorrere alla pratica dell’eutanasia.

Lo stesso spunto viene poi sviluppato dalla stessa Hayakawa per il suo esordio nel lungometraggio, intitolato proprio Plan 75.
Il film incrocia tre storie: quella della settantottenne Michi (interpretata dalla leggendaria attrice e cantante Chieko Baishō), una vedova solitaria che ricorre al Plan 75 dopo aver perso il lavoro per via dell’età e malgrado goda ancora di buona salute; del giovane Hiromu (Hayato Isomura), impiegato come consulente proprio all’interno del programma Plan 75, il quale dopo aver perso il padre cerca di riallacciare un rapporto con lo zio Yukio (Taka Takao), che non rivede da vent’anni e desidera aderire al Plan 75 non appena avrà raggiunto l’età conforme; di Maria (Stefanie Arianne), un’infermiera filippina, che assiste gli anziani che hanno aderito al programma per via dell’eccellente retribuzione garantita ma prende pian piano coscienza dell’insensatezza del sistema.

L’ispirazione sembra imparentare il soggetto alla grande tradizione della fantascienza distopica, ma la verità è che non c’è nulla di futuribile o avveniristico nel mondo raccontato dalla regista, in tutto e per tutto identico al presente. Come, in fondo, mostra già il sorprendente incipit dove un massacro in una casa di riposo viene perpetrato perché «l’aumento del numero di anziani sta soffocando l’economia giapponese» e che sembra rievocare alcuni casi di cronaca nera che hanno infiammato la stampa nipponica (uno su tutti: il massacro di Akihabara nel 2008).

È proprio questo episodio che, nella finzione, innesca la reazione del governo e la nascita di una paradossale politica di anti-welfare che annulla ogni forma di protezione e sicurezza sociale e sacrifica la tutela dei diritti di persone emarginate o svantaggiate in nome della salvaguardia di un sistema a rischio di recessione. Una situazione completamente estranea a chi, come Yukio e Michi, ha invece vissuto sulla sua pelle la stagione del miracolo economico, dell’industrializzazione e della modernità: non è forse casuale la scelta di Chieko Baishō, interprete della sorellastra del protagonista della serie di film (1969-1995) dedicata al venditore ambulante Tora-san, diretta dal grande Yōji Yamada e capace di un comporre un quadro patetico e nostalgico dei cambiamenti del Paese e dei suoi valori.

L’interesse della regista, però, sembra maggiormente indirizzato verso questioni più universali: il rapporto tra l’individuo e la Morte, il senso di inutilità provato da chi ha perso il proprio ruolo sociale, il confronto tra generazioni che non riescono a trovare un terreno d’incontro, il desiderio di preservare la dignità di fronte alla sofferenza. Per questo il film abbandona un po’ troppo frettolosamente le questioni più spinose che solleva (il conflitto tra controllo sociale e libertà individuale e quello tra prosperità economica e benessere spirituale) per trasformarsi in una specie di elegia mesta e incostante dove a contare realmente è la cappa di solitudine che avvolge i personaggi, sempre più isolati da un ambiente a cui oramai sono estranei (e che spesso assume la funzione di semplice sfondo, anch’esso separato dall’azione, oppure rimane fuori fuoco, quasi invisibile).

 

Così, anche i pochi momenti distensivi (come nella scena del bowling, una delle più belle del film) servono ad amplificare per contrasto un quadro di quotidiana prostrazione, mentre i mezzi di comunicazione (telefoni, computer) sembrano in grado solamente di allontanare tra loro le persone. Un quadro di alienazione urbana che non si discosta poi molto da quanto il cinema dell’arcipelago racconta da almeno quattro decenni (e che forse ha trovato il suo interprete più dolente e sincero in un autore insospettabile come lo scrittore e regista Ryū Murakami), certamente convenzionale ma non per questo impersonale, perché, tra le pieghe di un racconto in levare, emerge la capacità di donare significato ai silenzi, alla stasi e agli spazi vuoti che simboleggiano una vana ricerca di senso. Qualità che ai cinefili più oltranzisti può ricordare il magistero di cineasti dimenticati come Hiroshi Ishikawa e che agli altri, forse, lascia una qualche curiosità per le prove successive.


 

 

 

 

Plan 75
Giappone, Francia, Filippine, 2022, 113'
Titolo originale:
id.
Regia:
Chie Hayakawa
Sceneggiatura:
Jason Gray, Chie Hayakawa
Fotografia:
Hideho Urata
Montaggio:
Anne Klotz
Musica:
Rémi Boubal
Cast:
Chieko Baishô, Hayato Isomura, Stefanie Arianne, Taka Takao, Yumi Kawai, Hisako Ôkata, Kazuyoshi Kushida, Yûsaku Mori, Yoko Yano
Produzione:
Dongyu Club, Fusee, Happinet Phantom Studios, Loaded Films, Urban Factory, WOWOW
Distribuzione:
Tucker Film

Giappone, in un futuro prossimo un programma governativo, il Piano 75, mira ad arginare quella che ormai è diventata un’emergenza nazionale: l’invecchiamento della popolazione. Lo Stato permette cioè di ricorrere all’eutanasia gratuita e legale. Basta aver compiuto 75 anni... 

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