Firouzeh Khosrovani

Radiograph of a Family

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«La mamma sposò la fotografia di papà». Con una voce fuori campo, la regista Firouzeh Khosrovani ci introduce nella casa e nella memoria della sua famiglia. Potrebbe sembrare una metafora – come a dire che i due non si conoscevano – e invece l’inquadratura successiva rivela la forza poetica dell’immagine: sua madre Tayi si era davvero sposata con una foto di Moussio, assente dalla cerimonia in Iran perché impegnato con gli studi di medicina a Ginevra, dove lei lo avrebbe raggiunto. I due si erano conosciuti, si erano innamorati e, paradossalmente, non sarebbero più stati così uniti come in quell’immagine, Tayi in abito da sposa, Moussio incorniciato in foto.

Nel suo intimo documentario, Khosrovani racconta la storia dei propri genitori a partire dagli anni ’60 attraverso fotografie di famiglia, immagini e filmati d’archivio, alternando in voice over la narrazione in prima persona e i dialoghi tra i due, ricreati attraverso il cinema: «È da tanto che aspetti?», chiede Tayi al neosposo rimasto in attesa all’aeroporto. «Tre mesi», risponde Moussio con una battuta.

Moussio e Tayi appartengono a due Iran diversi. Lui è occidentalizzato, laico, ha fatto l’università in Svizzera dove è diventato radiologo, ha abbracciato gli usi e i costumi europei, e vorrebbe rimanere lì per sempre. Lei proviene da una famiglia musulmana integralista, non riesce ad ambientarsi in quel nuovo mondo. A causa di una caduta con gli sci, Tayi si ferisce alla spina dorsale. Si sente la schiena spezzata, e quella frattura diventa il simbolo di una spaccatura più profonda: di una donna, di una famiglia, di una nazione, divise tra due culture diverse.

E lì, nel mezzo, cresce la figlia Firouzeh, pure lei scissa, tra il suono della musica classica amata dal padre e le preghiere silenziose della madre. Intanto, la famiglia è tornata a vivere a Teheran, in quella casa dove gli spazi percorsi lentamente in carrellata dalla cinepresa cambiano con il passare del tempo, così come la relazione tra i due coniugi.

Tayi ha trovato nell’attivismo politico e religioso la propria ragion d’essere. Dopo aver sempre vissuto in una condizione di subalternità, anche durante il periodo in Europa, rivendica la propria indipendenza prendendo parte alla rivoluzione iraniana di fine anni ’70, e combattendo con le armi contro l’idea stessa di Occidente. E la storia di una famiglia si mescola alla Storia di una nazione, entrambe con le loro contraddizioni insanabili. La guerra può diventare un’opportunità di riscatto per gli ultimi, dare un senso alle loro vite, come per quelle donne iraniane arruolatesi nell’esercito del futuro regime fondamentalista, che avrebbe poi negato loro le libertà conquistate.

Tayi strappa tutte le fotografie in cui non indossa il velo, senza il quale, da giovane in Svizzera, si sentiva smarrita, privata della propria identità e delle proprie radici. Ma ora, agli occhi della figlia, lei e le altre donne militanti, dietro quel velo, sembrano tutte uguali. Qual è, dunque, la sua identità?

Alla bambina (e alla regista) Firouzeh non resta che raccogliere le foto strappate, poggiarle su una tela bianca e disegnare le parti mancanti, cercare di ricomporre un quadro senza offrire giudizi morali.

È questo il senso profondo della sua radiografia: guardare dentro le cose, le azioni, le scelte, non necessariamente per condividerle, ma per tentare di comprenderle.


 

Radiograph of a Family
Norvegia, Iran, Svizzera, 2020, 82'
Titolo originale:
Radiograph of a Family
Regia:
Firouzeh Khosrovani
Sceneggiatura:
Firouzeh Khosrovani
Fotografia:
Mohammad Reza Jahanpanah
Montaggio:
Jila Ipakchi, Farahnaz Sharifi, Rainer Maria Trinkler
Musica:
Peyman Yazdanian
Cast:
Soheila Golestani, Christophe Rezai, Farahnaz Sharifi
Produzione:
Antipode Films, RainyPictures, Dschoint Ventschr Filmproduktion AG, Storyline Studios
Distribuzione:
ZaLab

Nella famiglia della regista Firouzeh Khosrovanicome in tante altre, gli effetti della rivoluzione islamica hanno influito su ogni aspetto della vita quotidiana. Mentre il padre laico continuava ad ascoltare Bach, la madre musulmana si dedicava all’attivismo religioso.
Attraverso fotografie, lettere e voci, la regista racconta la sua giovinezza, quella di una famiglia divisa e di una figlia combattuta. La sua storia privata assurge a metafora dei cambiamenti della società iraniana negli ultimi quarant’anni.

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