Non è facile chiudere una trilogia, figuriamoci una saga. L’ascesa di Skywalker fra le enormi e pesanti aspettative che si portava dietro, aveva soprattutto quella di fornire le risposte alle domande messe sul tavolo dai due episodi precedenti, ma anche di concludere e far coincidere nello stesso tempo e spazio le storie – a volte vecchie più di quarant’anni – dei suoi tanti personaggi. Se dovessimo valutare il film dalla riuscita o meno di questo difficilissimo compito potremmo dire che JJ Abrams e l’esordiente co-sceneggiatore Chris Terrio (che arriva dritto dai cinecomics DC), hanno centrato in pieno l’obiettivo. Ma c’è, ovviamente, molto altro.
A cominciare dalla trama, mai come in questo caso un accumulo esorbitante di storie, situazioni, personaggi. Non contenti di dover tirare le fila di ben nove film, gli autori aggiungono per tutta la prima parte nuove linee narrative e costruiscono per L’ascesa di Skywalker un racconto quasi inedito, di cui si smarrisce, in termini puramente di plot, la traccia data dal precedente episodio della trilogia. A ben vedere, anzi, Abrams sembra ricollegarsi direttamente al suo Il risveglio della forza, marginalizzando la portata de Gli ultimi Jedi – di cui “dimentica” quasi completamente il personaggio di Rose – assegnandogli il ruolo di episodio antologico, quasi indipendente. E in questo modo, forse, nobilitandolo oltre che rendendolo a tutti gli effetti l’episodio “di Luke”.
La storia – superata la fase emergenziale descritta dal capitolo precedente, nel quale la Resistenza era riuscita a salvarsi solo pagando lo scotto di un enorme sacrificio – riprende concentrandosi sulle questioni primarie. La guerra riparte con i ribelli che assumono una logica offensiva, i protagonisti trovano le risposte che cercavano e la resurrezione di un antico nemico creduto sconfitto, Palpatine, riporta la lotta fra lato chiaro e oscuro della forza al centro della galassia. Ce n’è abbastanza insomma per fare de L’ascesa di Skywalker un film-contenitore di tutto quello che abbiamo imparato a conoscere. La cosa forse inaspettata è come di questo tutto gli autori celebrino un magniloquente funerale.
Episodio IX è infatti un film cupo, buio come lo spazio interstellare al confine remoto della galassia, oscuro e popolato di fantasmi. Spettri che sono materializzazioni di paure, rimossi, ricordi che tornano dal passato e non smettono mai di parlare, agire, consigliare o sviare le azioni dei protagonisti. La morte diventa quindi una condizione transitoria tanto quanto la vita o forse è quest’ultima a non estinguersi mai del tutto – «sono venuto a ucciderti» dice Kylo Ren a Palpatine «io sono già morto» gli risponde l’Imperatore. E nemmeno il saluto sinceramente commosso riservato a Carrie Fisher, che tramite Leia è sopravvissuta a se stessa, appare come qualcosa di definitivo.
Proprio perché Abrams – al di là della devozione e dell’ortodossia che lo guidano e che i fan incensano o criticano a seconda delle stagioni e delle lune – tratta la saga come un mito e da Lucas, più che tutto il resto, eredita il convincimento (quasi una missione) di tracciare una vera e propria cosmogonia. Il racconto dell’origine dell’universo come un ciclo che si ripete e nella cui infinitezza risiede il senso stretto della sua esistenza. La reductio ad unum con cui il film si conclude, laddove Rey trova finalmente il cognome da affiancare al proprio nome, simboleggia in termini pagani, il compimento di un percorso che è destinato sempre a ricominciare. A essere raccontato e rivissuto all’infinito, proprio come i più antichi miti della classicità.
Non è un caso, in questo senso, che anche L’ascesa di Skywalker sia un film di padri e figli, di nonni e nipoti e di quel conflitto fra generazioni che ha animato tutti i film di questa terza trilogia. È solo andando oltre i traumi e risolvendo le proprie incertezze rispetto al rapporto con i genitori che Rey e Kylo chiariscono non solo i pensieri riguardo loro stessi, ma anche rispetto al rapporto fra di loro. Mentre Finn e Poe, che ereditano il comando della Resistenza, avvertono l’incertezza delle responsabilità. Restano sgomenti di fronte al compito che li aspetta e osservando il ripresentarsi di quella solitudine che si era impadronita di loro nella base ribelle del pianeta di Crait – poco prima dell’attacco finale de Gli ultimi Jedi, quando non arrivavano risposte alle richieste d’aiuto – si rendono conto della sovrumanità della loro missione.
Sarebbe troppo semplice dire che questo eterno ritorno di storie, vicende e personaggi condito dal conflitto generazionale sia la metafora dell’operazione di cui Abrams è stato messo a capo. Troppo semplice intravedere la somiglianza (più da remake che da sequel) fra i film della prima trilogia e quelli di quest’ultima (secondo cui questo episodio sarebbe di fatto la versione aggiornata de Il ritorno dello Jedi). E da qui osservare che la ripetizione del racconto è solo un comodo escamotage per eternare un successo cinematografico unico nel suo genere. Perché la grande novità in L’ascesa di Skywalker sta proprio nel tematizzare uno dei grandi nodi della contemporaneità. E cioè quella paura di crescere, di diventare grandi e di affrontare le sfide con cui la generazione nata proprio insieme a Star Wars e quelle successive si sono scontrate e continuano a scontrarsi.
Un messaggio forse un po’ naif, senz’altro molto disneyano e probabilmente debitore della filosofia derivata dai comics con cui Guerre stellari deve oggi per forza misurarsi.
Eppure qualcosa che è decisamente in linea con lo spirito lucasiano. L’idea cioè che le scelte di ognuno non sono mai scontate e sono il risultato di un pensiero più alto e inconoscibile che governa l’agire e la legge morale di ciascuno di noi. Qualcosa che possiamo individuare come una forza o magari, come Rey nel finale del film, solo come la libertà di essere (o diventare) chi vogliamo.
Decimata dal Primo Ordine, la Resistenza tenta nuovi assembramenti e per la prima volta Finn, Poe e Rey combattono uniti. Il ritorno dal passato della minaccia di Palpatine, l'inasprirsi dell'antica battaglia tra Jedi e Sith e lo scontro fra Rey e Kylo Ren, il due lati opposti della Forza, portano a un punto definitivo la saga di Star Wars, qui al nono e forse (almeno per il momento) definitivo capitolo.